Il 10 maggio la città di Milano onorerà Antonio Cederna, dedicandogli una strada e dialogando con Giulia Maria Crespi, Marco Romano, Paolo Portoghesi e Pier Luigi Cervellati sui temi sempre attuali del suo libro I Vandali in Casa a cura di Francesco Erbani (Editori Laterza), in un luogo preservato qual è Villa Belgioioso. Antonio Cederna è stato tra i fondatori di Italia Nostra e non averlo ascoltato ha portato agli orrori che oggi sono davanti agli occhi di tutti e che rappresentano la più devastante tra le invasioni barbariche. In cinquant'anni l'Italia ha cambiato volto. La premonizione di Cederna era drammatica già nel 1954: «La bella e antica e sotto molti aspetti importanti città di Milano è condannata a sparire dalla faccia della terra».
Sarà per questo che i parenti di Cederna non si mostrano affatto soddisfatti del ricordo di Antonio, così caro a una milanese innamorata quale è Giulia Maria Crespi. Tutto il loro interesse sembra indirizzato (in senso letterale) a Camilla, sorella di Antonio Cederna e giornalista interessante e gustosa, ma la cui opera per la Cultura italiana è imparagonabile a quella del fratello. Non di meno, nel giorno in cui Milano dedicò una piazzetta a Guido Vergani, il suo giovane e gentile figlio, Orio, invece di manifestare compiacimento, non mancò di protestare contro il Comune per la mancata titolazione di una strada a Camilla Cederna. Per evitare ulteriori polemiche, non replicai. Ma oggi la risposta è tutta nel libro straordinario di un altro figlio, Mario Calabresi (Spingendo la notte più in là. Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo, editore Mondadori): un libro in cui si parla di altre barbarie. Mario è figlio del commissario Calabresi, assassinato il 17 maggio 1972, da alcuni militanti di Lotta Continua, come ha stabilito una sentenza definitiva nel 1997, dopo 25 anni di indagini e processi.
Quando Calabresi fu ucciso, sua moglie Gemma Capra era in attesa del terzo figlio. Il libro racconta il destino di naufraghi toccato ai sopravvissuti, costretti non solo al dolore per la morte del marito e del padre, ma alla continua umiliazione di sentirlo diffamato, in quanto poliziotto, ed esaltati i suoi assassini. Il giovane Mario Calabresi, per capire, a quattordici anni, dodici dopo la morte del padre, cominciò a leggere i giornali dell'epoca nella emeroteca della Biblioteca Sormani. Incrociò allora la collezione di Lotta Continua, soprattutto il settimanale l'Espresso, con gli articoli di Camilla Cederna e l'appello agli uomini di cultura del 13 giugno 1971. Si chiedeva di ricusare i «commissari torturatori, i magistrati persecutori, i giudici indegni». La Cederna guidava orgogliosamente la campagna di discredito nei confronti di Calabresi e firmava la lettera nella quale il commissario era definito «responsabile della morte di Pinelli».
Non era sola, in verità, a chiedere l'allontanamento dai loro uffici dei magistrati che avevano osato contraddire la ricostruzione della morte di Pinelli e la denuncia di Lotta Continua: «Siamo stati troppo teneri con il commissario di Ps Luigi Calabresi. Egli si permette di continuare a vivere tranquillamente, di continuare a fare il suo mestiere di poliziotto, di continuare a perseguitare i compagni... e il proletariato ha già emesso la sua sentenza: Calabresi è responsabile dell'assassinio di Pinelli e Calabresi dovrà pagarla cara».
Dopo l'invito agli «uomini di cultura» ad aderire alla lettera-appello sull'Espresso del 20 giugno 1971, esce un altro articolo di Camilla Cederna dal titolo «Parlano i protagonisti della più atroce commedia che sia mai stata recitata dalla magistratura italiana» ed esce il primo elenco delle adesioni degli intellettuali. Dispiace ricordarne alcuni: Norberto Bobbio, Lucio Villari, Federico Fellini, Mario Soldati, Liliana Cavani, Giuliano Montaldo, Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Giovanni Raboni, Ernesto Treccani, Renato Guttuso, Inge Feltrinelli, Giulio Carlo Argan, Gae Aulenti, Umberto Eco, Alberto Bevilacqua, Eugenio Scalfari, Giorgio Bocca, Furio Colombo, Carlo Rossella, e molti altri. Tutta l'intellighentia italiana contro il commissario Calabresi. Avevano ragione loro, e Camilla Cederna? A leggere Paolo Mieli, oggi, sembra di no. Il 3 luglio 2004 il direttore del Corriere ebbe il coraggio di dichiarare di «provare vergogna per un testo che, nella sua ambiguità, pareva difendere la lotta armata e incitare al linciaggio del commissario». Mieli, non altri, arrivò a dire: «Qualsiasi parola di scuse nei confronti di moglie e figli di Luigi Calabresi mi appare ancora oggi inadeguata alla gravità dell'episodio».
Ma con che occhi doveva leggere quegli articoli e quei nomi luminosi l'adolescente Mario Calabresi? E cosa pensare di una grande cultura così vile e conformista? Non sono bastate negli anni le sentenze della magistratura a cancellare l'infamia che, anche dopo l'assassinio, continuò a infangare la memoria di Calabresi. Ed è significativo che sia toccato dirlo al senatore Gerardo D'Ambrosio, il giudice istruttore che indagò sulla morte di Pinelli: «Se ora vogliono far emettere un francobollo in memoria dell'anarchico Pinelli, facciano pure perché tutti, anche a distanza di anni, hanno diritto ad una commemorazione. Ma se questo dovesse servire per cavalcare di nuovo la tesi dell'omicidio volontario, allora sono dei pazzi che vanno fuori strada. Perché sarebbe come uccidere una seconda volta il Commissario Calabresi, il quale, tra l'altro, non era neanche presente nella stanza della Questura da cui cadde Pinelli. Attenzione». Oggi il Comune e la Provincia di Milano onorano Luigi Calabresi e, con piena convinzione, Antonio Cederna.
Vittorio Sgarbi
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