Niger, giallo sugli italiani rapiti È caccia ai banditi nel deserto

Gli altri viaggiatori sequestrati e rilasciati stanno tornando a casa. Uno di loro racconta: «Tenuti sotto la minaccia delle armi da quindici predoni»

Raffaela Scaglietta

da Roma

Continua la caccia ai banditi armati nel deserto nigerino. L’esercito africano è alla ricerca dei rapitori di Ivano de Capitani e di Claudio Chiodi, scomparsi dal 22 agosto mentre viaggiavano, insieme ad altri 19 turisti, tra le pericolose dune del deserto del Sahara, al confine tra il Niger e il Ciad. «Siamo sempre in contatto con le autorità di sicurezza nigerine per rintracciare i due italiani rapiti» ha detto al Giornale Giovanni Davoli, incaricato d’affari dell’ambasciata italiana in Costa D’Avorio inviato dalla Farnesina in Niger per seguire la vicenda. «Al momento non sappiamo dove si trovano, le ultime coordinate che avevamo erano quelle registrate da uno dei viaggiatori rilasciati. Aveva registrato tramite il suo gps i dati logistici» ha aggiunto il diplomatico italiano. «Sappiamo che i banditi erano armati - conferma Davoli -, è quanto mi hanno raccontato alcuni turisti con cui sono rimasto in contatto da ieri, ma non siamo assolutamente in grado di stabilire né la ragione dell’attentato, né l’identità del gruppo armato».
«Sappiamo che i due italiani rimasti prigionieri hanno ancora il loro mezzo di trasporto, ma non riescono a comunicare con noi», ha precisato il diplomatico. Quindi ora non possiamo dire neanche con certezza se i due italiani dispersi siano ancora in mano alla banda. I turisti erano stati minacciati con i kalashnikov e avevano lasciato ai banditi soldi, materiale fotografico e mezzi utili per la trasmissione delle comunicazioni. «Non c’è stata nessuna richiesta di riscatto - continua Davoli -, speriamo di ritrovare presto i due trattenuti». Le autorità del Niger hanno messo sulle tracce dei rapitori decine di soldati dell’esercito.
Intanto i viaggiatori rilasciati hanno deciso di proseguire con le loro macchine il viaggio africano iniziato ad agosto sulle rischiose vie che tagliano l’infuocato triangolo di sabbia tra Libia, Ciad e Niger. «Stanno salendo verso il Niger, e dovranno attraversare l’Algeria - ha precisato Davoli -, ero riuscito ad organizzare dei voli militari nigerini nella zona in cui si trovavano, ma hanno preferito continuare via terra. Hanno comunque scelto la rotta più corta per tornare a casa».
Ed è proprio a casa che i familiari ed amici attendono con apprensione il rientro dei viaggiatori, pronti ad avventurarsi in zone estremamente pericolose per inseguire un certo adrenalinico «mal d’Africa». «Sono serena - ha commentato Federica Franzoni la moglie di Claudio Chiodi -, ho fiducia in mio marito - dice - perché so che è in gmaba e sa sempre cavarsela in situazioni difficili». Claudio Chiodi è l’organizzatore del viaggio, ma non è un principiante.
A 48 anni, genovese, Chiodi è padre di famiglia, ha due figli e prepara viaggi avventurosi tramite internet. È stato lui ad aggiornare il diario on line e informare sugli agguati scampati. A quanto si legge sul suo blog sembra che il 14 agosto, come scrive un viaggiatore, vi fu già un pericolo scampato. «Un mezzo esercito armato sino ai denti ha spianato i fucili e armato un bazooka: solo l’intervento provvidenziale del nostro capo ha consentito di risolvere la situazione». La banda che ha assaltato il gruppo di italiani non era molto diversa. Lo ha raccontato uno dei turisti rilasciati: «In quindici ci hanno tenuto sotto la minaccia delle armi». Sono bande di predoni, banditi, gruppi antigovernativi e dissidenti armati da lunga data.

Ma questo fatto sembra non sia servito a fermare i turisti d’assalto: «È gente esperta, attrezzatissima - ha raccontato Claudio Zapparoni, fratello di Bruno uno dei 19 rilasciati - provvista di satellitari, scorte d’acqua e benzina che parte con il fuoristrada e va a farsi le ferie nel deserto prendendo tutte le precauzioni necessarie».

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