Quando Boni de Castellane stava per morire, Chacha de St.S. si recò al capezzale per avere indietro le lettere d’amore che sua sorella Antoinette gli aveva scritto. Boni si fece portare il bauletto dove era raccolto e classificato mezzo secolo di corrispondenza amorosa e le consegnò il carteggio richiesto. «Vorrei anche quelle di mia sorella Pauline» disse allora Chacha. «Eccole, avete bisogno di qualcos’altro?» disse con un debole sorriso il morituro. «Visto che ci siamo, datemi anche le mie...».
Marie-Ernest-Paul-Boniface, conte di Castellane-Novejan, Boni per gli amici, fu la leggenda della Belle Époque. Nato nel 1867, a ventotto anni aveva sposato Anna Gould, la bruttissima figlia del re delle ferrovie americane, le aveva fatto fare tre figli e robustamente intaccato il patrimonio: l’acquisto di un castello fuori Parigi, la costruzione del Palais Rose nella capitale, sul modello del Petit Trianon di Versailles, un tre alberi da crociera, il Walhalla, una barca da regata, l’Anna, i cavalli più veloci, le carrozze più eleganti, le feste più belle, gli arredi più preziosi e, per amanti, le donne più desiderate. «Non è colpa mia se sono nato prodigo» diceva a propria giustificazione.
Le foto di Nadar, i quadri di Jaques-Emile Blanche e Van Dongen, i bronzi di Rembrandt Bugatti rimandavano l’immagine di un giovane biondo, i baffi dorati, l’incarnato pallido, l’eleganza estrema. Rampollo di una famiglia Ancien Régime, la nobiltà che affondava le proprie radici nella Francia prima della Rivoluzione, deputato al Parlamento, come già suo padre e suo nonno, rimase famoso un suo intervento presso l’allora presidente della Camera teso a conoscere l’indirizzo del suo calzolaio... La politica comunque gli piaceva: quella estera, i rapporti fra Stato e Chiesa.
Il matrimonio durò una decina d’anni, poi lei chiese e ottenne il divorzio e Boni si ritrovò dalla sera alla mattina senza un soldo e con i creditori alla porta. Non contenta, Anna si fidanzò con Hélie de Talleyrand, principe di Sagan, che di Boni era cugino, altrettanto nobile quindi e altrettanto spiantato, più anziano di Anna di quindici anni... I giornali parlarono di un matrimonio ormai prossimo e Boni lo prese come un duplice affronto: alla religione, perché un cattolico non può sposare una divorziata, a lui stesso, perché a suo tempo, e sia pure con i soldi della moglie, aveva salvato Hélie dal totale tracollo economico. Si sa, «le persone vi perdonano tutto, eccetto di far loro un favore». E così, all’uscita da una funzione funebre, lo prese a bastonate sul sagrato della chiesa... Commentò in privato Marcel Proust: «Per il principe di Sagan, Gould vuol dire per lo più gold», oro. Lo scandalo fu enorme e la stampa ci sguazzò per mesi.
All’alba dei quarant’anni, Boni de Castellane era dunque un uomo finanziariamente rovinato e socialmente chiacchierato. L’aristocrazia di cui faceva parte non gli aveva in fondo mai perdonato l’eccesso di mondanità e di lusso, il perenne stare sotto i riflettori, il nome sui giornali, che mal si addicevano a un’etica della sobrietà, del decoro, delle tradizioni, all’ostinata difesa di privilegi ancestrali divenuti privilegi morali. Adesso potevano presentargli il conto, lo stesso conto che, per altri motivi, gli presentavano i «nuovi ricchi», quelli che del denaro avevano un sacro rispetto e per i quali il disprezzo prodigo di Boni era come un’offesa e la prova di una differenza troppo forte per poter essere accettata. Per loro il denaro era un fine e un mezzo, per lui, un semplice piacere. Dopo aver fatto una vincita milionaria al Casino di Deauville, un amico gli aveva domandato: «Tu Boni che cosa ne faresti?». «Dei debiti» era stata la risposta. L’arte di essere povero (Excelsior 1881, 290 pagine, 18,50 euro) è il divertito racconto che de Castellane scrisse a proposito di questa sua seconda vita, intanto che, «come a Versailles durante la Rivoluzione, quando si staccavano i gigli dalle cancellate di ferro battuto e dalle balaustre», l’ex moglie fa togliere le sue iniziali dal Palais Rose e «grattare i miei stemmi dall’argenteria».
Giornalista, antiquario, produttore di rovinose creme di bellezza, arredatore e ispiratore d’interni, Boni mette a frutto un talento educato al bello e un’educazione in grado di farlo stare a proprio agio in udienza privata in Vaticano come alla corte di Spagna o d’Inghilterra. Vive in affitto, ma trova comunque sempre il modo di riarredare l’appartamento come piace a lui, vive in albergo, ma trova sempre il modo di farne una sorta di residenza privata... Nel suo testamento, l’unico oro che lascerà ai figli è quello dei suoi denti, su cui però, avverte, «ha un’ipoteca di 4mila franchi» il suo dentista. I debiti sono talmente tanti che i figli rinunceranno alla successione.
Più che un dandy, de Castellane era un esteta, come Robert de Montesquiou, l’altra leggenda della Belle Époque (è ispirandosi soprattutto a loro che Proust darà vita al barone de Charlus della Recherche), come Huysmans che ne fu il teorico e il cantore. Il suo era un eccesso coordinato, il dettaglio che illuminava il ton sur ton dell’abbigliamento. Nel suo Journal d’un attaché d’ambassade Paul Morand lo coglie subito: «È il contrario di un dandy, il cui chic sarebbe impercettibile. Lo chic di Boni si vede». C’erano in lui, scrisse, «delle profondità inattese», un personaggio «costruito» in cui tuttavia albergavano «sotterrane psicologie balzacchiane».
Ben tradotto e ben annotato, L’arte di essere povero si avvale di un’introduzione di Massimiliano Mocchia di
Coggiola un po’ tropo compiaciuta nel suo ostentato dandysmo da sfiorare qui e là il ridicolo. Non c’è niente di peggio che scimmiottare il passato non potendo riviverlo. Essere dandy oggi non è impossibile, è inutile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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