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«Noi, amici e rivali Solo Sofia ci divise»

Il produttore: «Disaccordi sì, litigi mai. Non lo vedevo da anni, pativa l’America»

da Roma

«Cos’eravamo? Grandi rivali... e amici veri. Oggi dico a Sophia: coraggio, tieni duro». Dal suo ufficio di Hollywood, Dino De Laurentiis, classe 1919, ricorda così Carlo Ponti, classe 1913. L’uno di Torre Annunziata, l’altro di Magenta, ma entrambi baciati da un fiuto eccezionale, i due si fecero la guerra nell'Italia cinematografica del secondo dopoguerra, salvo poi ritrovarsi insieme nella società Ponti-De Laurentiis, tra il 1950 e il 1956. Proverbiale la loro rivalità, almeno negli anni in cui, entrambi produttori di punta nella Lux di Gualino, si rubavano i progetti l’un l’altro. Fellini si divertiva a rievocare i loro contenziosi più o meno pittoreschi, a base di porte sbattute e insulti coloriti, fronteggiandosi i rispettivi uffici in fondo allo stesso corridoio.
Finché un giorno...
«Finché un giorno ci chiedemmo: “Perché non metterci per conto nostro?”. Nacque così la società. Quasi senza capitali. Quando si trattò di stabilire il nome, avendo Carlo qualche anno più di me, io proposi: chiamiamola Ponti-De Laurentiis, ma nel cartello finale scriviamo prodotto da Dino De Laurentiis e Carlo Ponti. Era una gerarchia che rispettava la sostanza: io mi consideravo più filmaker, più produttore. Lui era soprattutto un abile confezionatore di pacchetti, un bravissimo avvocato col senso degli affari».
Cos’era: un’unione provvisoria tra due rivali naturali o un matrimonio d'amore?
«Un gesto di indipendenza. Avevamo idee e fantasia ma pochi soldi. All'epoca si lavorava con i cosiddetti “pagherò”, cambiali a quattro mesi. Partimmo con Il brigante Musolino, poi vennero Anna, Ulisse, Dov'è la libertà?, La strada di Fellini e tanti altri. Tra le nostre primedonne non ci furono attriti: Silvana Mangano era una star già affermata, per Sofia Loren, magari, ci fu qualche problema in più a imporla. Ma Carlo tenne duro ed ebbe ragione. Custodiva una grande personalità. Ci sono attrici che restano sullo schermo e attrici che escono fuori. Lei usciva, acchiappava lo spettatore. La fotogenia non dipende dalla bellezza, è una questione di personalità».
Poi, dopo L’oro di Napoli, la crisi.
«Fu una separazione consensuale, amichevole. Certo, nel frattempo il sogno era svanito. Ricordo difficoltà finanziarie complicate dai problemi sentimentali di Carlo. Era innamorato follemente della Loren. Sfidò addirittura un procedimento per bigamia pur di sposarla in Messico. Si ritrovò inchiodato all’estero, in America. Non si poteva andare avanti così. Io rilevai la sua quota e insieme a Silvana fondai la De Laurentiis. Per due anni non fu vita facile, causa situazione debitoria, poi la ruota della fortuna tornò a girare».
L’ultima volta che ha visto Ponti?
«Parecchi anni fa, a un cocktail dell’Academy. Del resto, le nostre vite avevano preso direzioni diverse. Ma ho continuato a informarmi su di lui. Anche tramite il mio avvocato a Roma, Guendalina Ponti, figlia di Carlo. Sapevo che aveva smesso col cinema. L’età è una brutta bestia».
Però lei continua a passare da un set all'altro: Young Hannibal, L’ultima legione, Vergini...
«Un giorno o l’altro dovrò decidere anch’io di smettere. Ma finché ho le tre “C” vado avanti. Sì: cervello, cuore, coglioni. Ho 86 anni, però non me li sento. Continuo a fare riunioni, leggere copioni e prendere aerei. Mi creda, Young Hannibal è formidabile. Esce il 9 febbraio in tutto il mondo».
Mai litigato con Ponti?
«Disaccordi sì, litigi no. Non esiste alzare la voce. Il mio metodo è questo: o ti convinco io o mi convinci tu».
Ponti soffriva l’America, lei no. Diversa attitudine mentale?
«Guardi.

Tutti soffrono l'America, finché non vi si trasferiscono. Io mi sono inserito nel sistema hollywoodiano rispettandone le leggi e insieme portandovi la mia fantasia. Ponti, probabilmente, considerò l’America un momento di passaggio. Sciolto l’enigma, tornò in Italia».

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