Spese folli e ricerca incessante su mercatini o in negozi dove ti obbligano a indossare guanti per toccare i volumi. Mania da pagina che assilla le notti e distrae dalla concretezza del lavoro. Estenuante caccia all’oggetto feticcio, necessità fisica della sensazione che dà sfogliare un testo raro, odorarne la carta carica d’anni. Brevi momenti di gioia guardando una distesa sterminata di volumi, oppure un singolo e preziosissimo pezzo. Ecco alcuni effetti non secondari (fra cui molti sicuramente dannosi) dell’affezione al più diffuso e vetusto supporto per le idee: il libro.
Perché se ogni collezione comporta un certo tasso di disturbo mentale (vedasi Freud e la sua ossessione per le statuette), il desiderio di possesso verso il libro è forse una delle forme di compulsione più violente. Per rendersene conto basta sfogliare La collezione di Giampiero Mughini (sottotitolo: Un bibliofolle racconta...) di cui Luca Canali parla in questa pagina. Ma come spesso accade nel mondo della cultura la «follia» si intreccia anche con un prezioso lavoro di conservazione e di scoperta che spesso sfugge alle capacità delle istituzioni accademiche come musei o università. Così per capire questo strano universo abbiamo parlato con alcuni dei più noti accumulatori di libri d’Italia.
Accumulatori e maniaci affetti da forme diverse di passione bibliofila. A esempio Sandro Fusina, sorta di arbiter elegantiarum del Foglio, pur possedendo un numero imprecisato di libri che oscilla tra i 10mila e i 20mila, rifiuta di essere considerato un collezionista. Semmai preferisce la definizione di maniaco. Punto e stop. «Io - dice - i collezionisti li detesto, adorano il libro a patto che non sia servito a nulla, che sia con le pagine ancora non tagliate... Io li uso, i libri, li apro e li leggo. Magari nel farlo li rompo e il bibliofilo urla dal dolore nel vedermelo fare... Io ho bisogno del possesso per capire le cose, capisco meglio le cose quando le tocco... I libri li considero “reificazioni del pensiero”. Certo, mi è capitato di mettere le mani anche su moltissimi testi di valore... E non mi dispiace, magari li lascio a mio nipote, così li vende, ci si paga qualche bello sfizio giovanile, che so... ballerine...». Insomma siamo nel settore dell’accumulo matto e disperato, ma senza feticci. «La follia - prosegue Fusina - nel mio caso è che ti trovi sommerso da volumi e volumi che occupano ogni spazio disponibile. Molti libri, a questo punto, so di averli, ma non so più dove sono... Pazienza, i libri per me non sono idoli, oggetti nati morti e da preservare mummificati. Li tratto con la massima cura che mi è possibile, non con la massima cura possibile. È diverso...».
Più classico l’approccio di un maestro della grafica e del libro d’arte come Franco Maria Ricci, possessore di una vastissima collezione che spazia dall’antico al moderno e che ha come fiore all’occhiello una delle raccolte più complete di testi stampati da Giovan Battista Bodoni (genio tipografico del ’700). «Ho tre biblioteche. Una “funzionale” di 15mila volumi, una seconda di libri rari, e una terza con mille e cinquecento testi di Bodoni... Quest’ultima in fondo è la mia vera mania, guardo le differenze fra le legature, gli errori tipografici. Soffro per i pochi testi che mi mancano... Voglio ricostruire con i libri la storia di quella tipografia. È una sorta di storia materiale... Ovvio che “i Bodoni” li apro ma non li leggo. È come con l’arte... non si usano certe cose... Lei andrebbe a far la spesa con una Bugatti d’epoca? Si usa la Panda...».
Accorto sul maneggio dei libri, che hanno invaso la sua vita oltre il limite dell’umanamente tollerabile, è anche Giorgio Conti che possiede la più completa collezione italiana di testi con copertine di design, una vera e propria ricostruzione della storia editoriale del ’900. «So - spiega - che c’è un lato psicoanalitico nella faccenda... Sono nato a Rimini. La città era sulla linea gotica, l’ho vista ridotta a un cumulo di macerie. Ovvio che abbia sviluppato la compulsione a salvare e conservare... Tengo però a dire che io colleziono materializzazioni di concetti, non semplici oggetti. E non impazzisco per una “Litolatta” futurista che costa uno sproposito... Ho accumulato 4mila libri di grafica editoriale e 20mila volumi vari del ’900. Non ho fatto follie sul budget, ho fatto follie fisiche... Io sono mingherlino e me ne sono andato in giro con decine di chili di carta trasportati a braccia. Quando capisco di avere di fronte l’occasione, magari mi imbarco su un treno con centinaia di volumi trovati a un mercatino e rischio addirittura di farmi sbattere giù...». Ma almeno nel caso di Conti il possesso conta meno: «Io li donerei anche a un’istituzione, vorrei solo la certezza della conservazione. Soprattutto per quei testi che raccontano la storia della grafica, un’eccellenza del made in Italy... Eppure molte biblioteche hanno distrutto le copertine...».
E sul fatto che i pazzi da collezione abbiano contribuito a salvare i «reperti» della cultura del ’900 concorda anche Andrea Tomasetig, uno dei più importanti librai antiquari d’Italia: «I collezionisti sono arrivati prima del sapere accademico su molte cose, compreso il futurismo. Soprattutto sul ’900 nella prima fase collezionistica ha pagato più la competenza che il denaro, con risultati impressionanti. E in tutto questo i musei pubblici mancano ancora... Che poi nella collezione ci sia una metafisica volontà di esorcizzare la morte e che il collezionare sia un’ottima terapia per nevrotici poco importa...».
Certo, la terapia funziona fino a che non si sviluppa la paura di perderli, i libri. O che vengano distrutti. Lo sa bene Marcello Veneziani innamoratissimo dei suoi 16mila volumi: «I libri prestati sono una sofferenza e la paura del furto è una costante soprattutto se uno ha subito delle “ferite nel passato” (alcuni suoi volumi furono vittime di liti familiari, ndr).
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