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«Noi, medici in prima linea tra polmoniti, aborti e tbc»

MilanoMigliaia ogni anno. Sono i clandestini che si rivolgono al pronto soccorso dell’ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano. Impossibile fare una conta precisa, senza l’obbligo di chiedere i documenti nessuno è mai riuscito a registrarli. «Però sono tanti, tantissimi - racconta il primario del dipartimento di emergenza, Daniele Coen - così a spanne direi che sono circa il cinque per cento di tutti i nostri pazienti». Chiedono aiuto agli ospedali senza preoccuparsi di dover mostrare un permesso di soggiorno, sostenuti dalla rete delle associazioni. E in un modo e nell’altro trovavano sempre l’indicazione per andare a curarsi nel posto giusto.
Conosce bene questa situazione il dottor Mauro Buscaglia. Da dieci anni ha aperto il centro Aiuto e ascolto per le donne immigrate all’ospedale San Carlo e da allora di clandestine ne ha visitate moltissime. I casi sono due: «O ci chiedono aiuto per essere seguite durante la gravidanza, oppure ne chiedono l’interruzione». Africane, cinesi, sudamericane o rom: poco importa la nazionalità, i problemi sono sempre quelli.
«Considerando che la nostra utenza è formata solo da donne straniere, posso dire che circa un terzo sono irregolari», continua Buscaglia. E adesso «il timore maggiore è che gli aborti clandestini possano aumentare». Un fenomeno, d’altronde, già in crescita negli ultimi mesi: «Sì, soprattutto nelle sacche di disagio sociale è sempre più diffusa la pratica, pericolosissima, delle interruzioni di gravidanza fai-da-te. Aborti indotti con l’assunzione di dosi massicce di misoprostolo, un comune farmaco per l’ulcera che i medici prescrivono facilmente». Gli stessi medici di famiglia che di fatto non entrano quasi mai a contatto con i clandestini, «perché la verità - spiega il primario del San Carlo Maurizio Merzegodi - è che alla fine si rivolgono sempre e solo presso i pronto soccorso cittadini, gli unici posti dove hanno la certezza di essere visitati e curati».
Per questo centinaia di immigrati clandestini vanno in ospedale anche per una banale influenza e certamente ci tornano se hanno malattie più gravi: «Nella maggior parte dei casi però - continua Coen - si tratta di patologie acute e non croniche, perché la popolazione immigrata da noi è ancora molto giovane». Ad esempio polmoniti, ma anche malattie infettive gravissime. Lo spauracchio degli ultimi anni ha un nome preciso: tbc, una malattia che si pensava debellata e invece è tornata a colpire, inevitabilmente, anche gli italiani.
Solo a Milano l’anno scorso si sono contati ben 400 nuovi casi di tubercolosi. Solo da settembre sono stati colpiti dieci bambini. Due di loro sono italiani. Il dottor Luigi Codecasa questi episodi li conosce quasi tutti, perché come direttore del centro Villa Marelli dell’ospedale Niguarda ha il compito di monitorarli e denunciare alle autorità sanitarie tutti i casi, clandestini compresi. Quanti sono? Gli basta poco per fare una conta: «Direi il 40 per cento dei miei pazienti, per un totale di circa 160 clandestini che si ammalano di tbc e si rivolgono a noi per ricevere le cure necessarie». Cure che possono durare anche più di un anno, perché la tubercolosi è una malattia molto difficile da diagnosticare, ma ancora più ostica da debellare. «Per farlo ci vuole continuità nella terapia.

E purtroppo con gli immigrati non è sempre facile instaurare un rapporto duraturo, anche se fino a ora si sono sempre fidati di noi».

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