Nomadi, che fallimento lo sportello per il lavoro

Inaugurato in pompa magna dal sindaco Veltroni e dall’allora assessore al Lavoro Paolo Carrazza il 13 luglio del 2005, lo Sportello avviamento al lavoro delle comunità nomadi, in via della Seta, al Tuscolano, aveva il compito di «valutare le potenzialità professionali dei rom e metterle in relazione con l’offerta di lavoro locale». Obiettivo: promuovere i mestieri artigianali e tradizionali, «individuando prospettive compatibili con la cultura nomade, come le attività commerciali, il recupero dei materiali, la musica». Sono passati oltre due anni. Il progetto, finanziato dal Comune di Roma ogni anno con 42mila euro, resta una chimera. Gli operatori spesso sono costretti a mettere mano al portafoglio per pagarsi da soli luce e telefono. Da gennaio 2007 lo Sportello è addirittura a rischio-chiusura.
«Le difficoltà che incontriamo a collocare i rom nel mondo del lavoro - spiega Aleramo Virgili, responsabile dello Sportello per conto di Opera Nomadi - sono conseguenza della bassa scolarizzazione e della pressoché nulla formazione professionale». La scommessa è allora quella di non aspettare le prossime generazioni, che si spera avranno competenze professionali adeguate, ma di puntare alle occupazioni che tradizionalmente esercitano i rom nei mercatini amatoriali, la lavorazione del rame e degli oggetti artigianali. «Attualmente abbiamo 261 soci iscritti alle cooperative che gestiscono i mercatini, qualche centinaio di partite Iva aperte dagli operatori che vendono materiale ferroso e diversi rom che sono riusciti a inserirsi nel campo della ristorazione, delle pulizie, del trasporto». Per lo più cuochi, camerieri, autisti, colf e badanti che, una volta trovato lavoro, negano la propria identità rom. Non esiste una banca dati sul livello di occupazione dei rom presenti nella capitale. «Dalla nascita dello sportello a oggi, abbiamo dato un lavoro, più o meno continuativo, a 500 persone» stima Virgili. Una goccia nell’oceano dei 15mila rom presenti nella capitale. Quasi tutti i progetti-pilota messi in piedi dall’amministrazione comunale per dare lavoro ai nomadi sono falliti. «Roma Cistì-Roma pulita», costato 115mila euro, era stato affidato alla cooperativa sociale Praliphè, che con l’impiego di 8 operatori ecologici aveva il compito di raccogliere i rifiuti ingombranti e ferrosi lasciati fuori dai cassonetti o abbandonati. Gli otto hanno lavorato solo un anno. Uscire dall’ottica dell’assistenzialismo non è facile, anche per la cooperativa «Baxtalo drom»: una decina di donne rom gestisce da giugno scorso una lavanderia-stireria e attualmente fornisce servizi a una grande casa di riposo del Comune di Roma.

Il progetto, finanziato dalla Regione Lazio, «prevede un percorso che va verso l’autonomia delle socie e lo sviluppo completo delle potenzialità produttive». La scommessa è quindi quella di trovare nel libero mercato contratti di prestazione d’opera senza dover ricorrere a commesse comunali. Staremo a vedere.

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