Non ci sono solo gli evasori: chi svuota le nostre tasche

Nella pubblica amministrazione si annidano sprechi per 150 miliardi di assenteisti, fannulloni e corruzione. Bloccare le infrastrutture ci costa quanto una manovra

Non ci sono solo gli evasori: chi svuota le nostre tasche

Roma Parole d’oro quelle del pre­mier Mario Monti su «alcuni italia­ni» che mettono le mani nelle ta­sche dei cittadini onesti perché non pagano le tasse. Ci sta pure il blitz di Cortina per stanare gli eva­sori mentre sciano, bevono grap­pa e fanno shopping. Manca però un pezzo; l’altra faccia della Luna. Quella di chi macina soldi pubbli­ci p­er interesse personale o di par­te, di chi ostacola con la burocra­zia quelli che vorrebbero creare onestamente ricchezza per sé e per gli altri, di chi è pagato con i sol­di dei cittadini ma non fa il suo la­voro. Dei politici che si considera­no così utili da meritare stipendi dieci volte superiori rispetto a quelli medi dei loro elettori. Una prateria sconfinata che, per coin­cidenza, vale più o meno la stessa cifra dell’evasione: circa 120-150 miliardi all’anno.

Oltre agli evasori, insomma, c’è un altro schieramento di concittadini - altrettanto composito, com­plesso e difficile da individuare ­che, in virtù di una funzione che gli è stata assegnata, infila le mani nei portafogli dei contribuenti onesti. Che sono, è bene ricordarlo, i forza­ti del sostituto di imposta, i lavorato­r­i dipendenti che non possono elu­dere il fisco, ma anche imprendito­ri e professionisti che non nascon­dono nulla allo stato. Ecco una bre­ve guida, ad uso di un governo tecni­co, nato sul giustissimo imperativo che in Italia, per mettere le cose a po­sto, bisogna scontentare un po’ tut­ti e non guardare in faccia a nessu­no.

Un esecutivo che ha la missione di rimettere in sesto la macchina senza curarsi troppo del consenso, potrebbe ad esempio cercare di ri­solvere, magari parzialmente, il problema italiano dell’eccesso di dipendenti pubblici. Su 3,2 milioni si stima ce ne siano circa 300 mila di troppo. Visto che la spesa comples­siva del lavoro pubblico è all’incir­ca di 165 miliardi all’anno, significa che decenni di assunzioni clientela­ri e di equivoci ideologici sul ruolo del lavoro pubblico, ci costano cir­ca 15 miliardi all’anno. Sicuramen­te non sono tutti soldi recuperabili, ma qualcuno sì. Magari con una bella azione spettacolare in stile Cortina dentro ministeri, Asl e re­gioni a caccia degli assenteisti, che, secondo stime un po’ datate,costa­no a loro volta circa 14 miliardi al­l’anno. C’è poi la corruzione,che fa parte dell’economia sommersa co­me l’evasione e pesa sul sistema Pa­ese­ ha stimato recentemente il pre­sidente della Corte dei conti Luigi Giampaolino - circa 60 miliardi di euro all’anno, senza contare i costi indiretti che i cittadini pagano in ter­mini di minor­i investimenti da par­te di chi potrebbe assumere, porta­re capitali e farci tutti un po’ più ric­chi, ma non lo fa perché è spaventa­to d­alla corruzione delle nostre isti­tuzioni e della nostra amministra­zione. Un fenomeno tutto «pubbli­co», che vale da solo la metà dell’evasione.

Tutte situazioni limite, reprimer­le spetta all’autorità giudiziaria. Ma, così come ci sono gli evasori in­consapevoli, quelli che fanno erro­ri formali o saltano qualche termi­ne, anche nella sfera pubblica c’è un’area grigia che fa del male,legal­mente. Inconsapevoli ladri di com­petitività e ricchezza. Sicuramente le lobby, le professioni e tutti i setto­ri da liberalizzare, sui quali il gover­no intende intervenire. Ma c’è an­che la burocrazia che pesa su tutti i cittadini e, in particolare, sulle im­prese. Le stime in questo caso sono le più disparate. Si va dai 15 miliardi all’anno a carico delle aziende,solo per riempire moduli e gestire i rap­porti con la Pubblica amministra­zione. Stima di Confindustria. Ma c’è anche il calcolo fatto dall’Anti­trust. L’ex presidente Antonio Catri­calà, attualmente sottosegretario alla presidenza del consiglio, aveva calcolato che le scartoffie per le im­prese pesano per «61 miliardi di eu­ro: se riuscissimo a ridurre» il costo «del 25 per cento avremo un aumento del Pil dell’1,7 per cento».

Un altro classico dei mali italiani, che rischia di finire in ombra a cau­sa della giusta indignazione per gli evasori in tuta da sci, è quello dei co­sti del non fare. Dal 2009 al 2024, la rinuncia alla realizzazioni delle in­frastrutture costerà al Paese 324 mi­liardi, 21,6 miliardi all’anno.Anche in questo caso sono risorse sottrat­te ai cittadini. Una tassa occulta, la cui responsabilità è da imputare in larga parte a una classe politica che, per calcoli elettorali, fa scelte di comodo e scarica i costi sulle ge­nerazioni future. Difficile non considerare la politi­ca più onerosa d’Europa come un altro modo, legale, di mettere le ma­ni nelle tasche degli italiani. La Uil ha calcolato che i costi delle Istitu­zioni (Parlamento, altri organi costituzionali, Regioni, Province, Co­muni), ammontano a circa 6,3 mi­liardi, a cui vanno aggiunti 2,8 mi­l­iardi di euro per incarichi e consu­lenze conferiti dalla Pubblica am­ministrazione e altri 2,5, per i com­pe­nsi degli amministratori di socie­tà pubbliche.

In tutto 11,6 miliardi.

Anche i sindacati hanno un loro co­­sto sulla Pa, 120 milioni per i soli di­stacchi. C’è sicuramente il modo di fare spendere un po’ di meno ai con­­tribuenti, senza intaccare la demo­crazia e i diritti dei lavoratori. Basta decidere che le mani in tasca agli ita­liani non le deve mettere nessuno.

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