Non dovete benedire Silvio in cambio di leggi di favore

Inammissibile l’indulgenza ecclesiastica per ottenere norme a vantaggio dei cattolici. La consacrazione che conta davvero viene dalle urne, non dal Vaticano

Da vecchio liberale, da vecchio laico e - per aggiungere nefandezza a nefandezza - da vecchio risorgimentalista, assisto con stupore per non dire con sgomento all’imperversante disputa sui vizi privati di Silvio Berlusconi. Sono del parere che si possa essere riprovevoli peccatori e buoni governanti, e che questi due aspetti d’una stessa personalità debbano essere tenuti rigorosamente distinti. A ciascuno il suo, a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.
Il Cesare (Giulio) della storia fu, nelle sfrenatezze d’alcova, assai spregiudicato, i doveri virtuosi li lasciava alla moglie. Reprensibili quanto lui furono due padri della Patria, Vittorio Emanuele II e Camillo Benso conte di Cavour, oltre tutto entrambi scomunicati. Il che non intacca neppur minimamente, secondo me, le loro qualità, i loro meriti, il loro rango di statisti. Un libertino può essere un ottimo gestore della cosa pubblica, e un intemerato pater familias essere, in quel ruolo, pessimo. Se un libertino piace alla maggioranza del Parlamento e - ciò che più conta - alla maggioranza degli elettori, gli va riconosciuto il diritto di stare a Palazzo Chigi fino a quando chi gli ha dato la fiducia gliela toglierà. Sono in fin dei conti banalità ovvie quelle che sto allineando, ma nel furore del dibattito risultano oscurate dagli slanci puritani. Non occorre, per ribadirle, essere dei tipacci cui va a genio il vizio. Basta essere rispettosi delle regole democratiche.
Ma nel confronto tra le spensieratezze serali del premier e le invettive perbeniste s’insinua un ragionamento inquietante, che proprio se si vuol dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Silvio quel che è di Silvio, deve essere respinto. La tesi, enunciata o accennata, è che sul bunga bunga possa essere passato un lavacro purificatore perché il governo approva provvedimenti che alla Chiesa stanno a cuore: importando alla Chiesa, si insiste, non le miseriucce personali degli uomini che reggono un Paese, ma grandi temi etici e di coscienza. Lo si voglia o no questo appellarsi alla visuale millenaria del mondo ecclesiastico e farne una sorta di alibi in pro dei governanti che - in quella stessa visuale - si comportano bene, delinea una sorta di baratto. Tu mi dai leggi ad ecclesiam, e io sarò indulgente verso le tue debolezze.
Anche se soltanto sottinteso un baratto di questo tipo è inammissibile. Chi governa risponde del suo operato ai cittadini, fa leggi nell’interesse dei cittadini. Può essere che l’interesse dei cittadini e quello della Chiesa coincidano, ma non è automatico né è sempre accaduto, anzi. Lontana da me l’idea di rivangare la questione romana ormai anacronistica e i decenni in cui i grandi uomini dell’Unità furono tali anche per essersi opposti, se lo ritenevano giusto e pur se fossero credenti, alla Chiesa.

Berlusconi ci insiste magari fin troppo, ma la consacrazione che gli viene dalle urne è più importante d’ogni altra, compresa quella del Vaticano. Non faccio il tifo per il libertino - e nemmeno per il puritano - faccio il tifo per la democrazia.

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