Politica

Non indossate le infradito: rovinano la carriera

Per gli americani le «flip-flop» sono vietate: troppo da spiaggia. Anche se firmate Hermes

Stefania Vitulli

«Bermuda in ufficio? Se fai un lavoro creativo e hai un fisico tonico puoi anche andare in ufficio in mutande». Così Giorgio Armani alle sfilate di Milano, dopo essersi presentato in bermuda, appunto, al termine della presentazione della collezione Emporio Armani. Rincara la dose Frida Giannini, direttore creativo del gruppo Gucci, che dichiara: «Vedo molti manager alla Gucci che fanno fatica ad integrare nel formale qualcosa di libero». E per dar loro una mano, rilancia il Friday Wear, ovvero la tenue du vendredi, nota al di là delle Alpi e dell’Oceano come la parentesi informale che precede il weekend. Si affianca Laura Biagiotti con il blazer «graffito», Tod’s con le scarpe da vela pensate per le tenute classiche e John Richmond, che fa indossare maglie da baseball sotto completi grigi.
Liberi tutti, dunque? Più che liberi, a sentire le dichiarazioni delle manager newyorkesi diffuse dalla Reuters, che indossano in ufficio addirittura le flip-flop, ovvero le infradito da spiaggia. Magari flip-flop da novanta euro come le Sigerson-Morrison, con piccolo tacco, o le Hermès, che sotto la suola hanno una acca in rilievo, in grado di rassicurare i «bon chic bon genre» francesi della propria appartenza alla crème: quando l'asfalto si scioglie, un’acca inequivocabilmente di classe si stampa ad ogni passo.
Strada aperta al free-style, che senza piercing permetta di abbandonare almeno la giacca e il tacco? Niente affatto, o quantomeno, non ancora. Lanciare un messaggio di relax non è buon segno in ufficio, ci spiega Ivano Traina, responsabile budget e controlli della business unit di una holding bancaria: «Confermo che il must rimane l’abbigliamento formale. D’estate deroghe per la giacca, ma in il resto dell’anno completo, colori scuri, al massimo spezzato classico pantalone grigio e giacca blu sono di rigore. Per gli accessori, cravatta regimental, scarpe nere e cintura nera, rara la scarpa marrone». Il tutto è tanto di rigore da mettere a rischio la carriera? «Chi si ostina a portare la polo in riunione, estate o inverno che sia, presto si vede escluso dagli appuntamenti importanti e dalle possibilità di carriera. Ma d’altra parte, ognuno è libero di fare le sue scelte», risponde Traina senza mezzi termini. Eppure è dagli anni Ottanta che almeno il Casual Friday dovrebbe essere accettato, persino nelle roccaforti bancarie. Traina ci dice che in Deutsche Bank effettivamente il venerdì tutti timbravano il cartellino in tenuta più che sportiva. Senza tuttavia mai arrivare alle infradito o ai bermuda. «Nel nostro contesto le infradito in ufficio ci sono già da due o tre anni» è la voce contrastante di Marco De Angeli account director dell’agenzia di pubblicità DDB Italia. «L’abbigliamento dei creativi è libero, tanto che non si distingue più la linea dentro e fuori. E anche nei dipendenti delle nostre aziende clienti ho notato una voglia di interpretare la moda, magari con una settepieghe o un orologio eccentrico». Sfuggire ai paradigmi non sembra attrarre affatto chi si occupa di alta consulenza: «Solo dipendenti di rango inferiore si vestono business casual» dichiara Stefano Zattarin, senior manager business unit financial services di una società di advisory. «Per i chief financial officer la policy è stretta e standard e la stessa da anni. La consulenza è un mondo di immagine condivisa». Ribatte Paola Caviggioli, responsabile ufficio stampa di un grande marchio editoriale: «Lavoro in una specie di gineceo dove il casual chic è tollerato». Lei direbbe sì alle infradito? «Intende le ciabattine di gomma? Non mi pongo proprio il problema, credo che a nessuno verrebbe mai in mente di indossarle in ufficio».
Creativi affrancati e bancari schiavi della divisa. Il luogo comune impera, nonostante la moda provi a ribaltarlo.

Con la solita eccezione di stile: per dare un taglio alle distrazioni mondane e costringersi in casa a finire il suo ultimo romanzo, Tom Wolfe, l’autore del Falò delle vanità, grande vecchio della letteratura americana che di chic radicale se ne intende, ha smesso l’abito bianco di rigore e ha indossato un paio di jeans: «Conciato in quel modo, ero certo che non sarei mai uscito di casa».

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