Politica

Non sciopera contro la Gelmini: 6 in condotta

RomaNon scioperi come gli altri? Pretendi di fare lezione in classe anche durante l’autogestione? Contesti chi contesta il decreto Gelmini? Meriti un sei in condotta.
L’equazione non convince, ovviamente. Eppure secondo Anna Pusceddu sua figlia Giorgia, 15 anni, è vittima di una sorta di «mobbing» scolastico. La ragazza frequenta il primo anno dell’istituto statale d’arte «Roma due». E il suo impatto con le superiori, eccellente all’inizio, si è fatto più traumatico già in autunno. Montava l’onda contro il decreto Gelmini, ma a Giorgia non andava di nuotare con gli altri. E non si è fatta problemi a dirlo. Occhi svegli, sorridente, insospettabilmente risoluta per la sua età, la ragazzina scuote la testa: «Il colmo è che uno slogan era “Noi non siamo burattini”. Però se non ti uniformi hai tutti contro». Il 30 ottobre gli studenti della sua scuola scioperano per la prima volta. Giorgia però non è d’accordo con la protesta, e non solo entra regolarmente in classe, ma convince anche due compagne a seguirla. Quattro giorni dopo comincia l’autogestione nell’istituto d’arte alla periferia est della Capitale. E anche questa volta la ragazza dice no alla protesta. «La trovavo strumentalizzata politicamente, e quindi non l’ho condivisa. Poi, francamente, preferivo seguire le regolari lezioni ai corsi “alternativi” di giocoleria e giornalismo organizzati dai collettivi. Così sono sempre entrata in classe, e infatti sono l’unica che ha svolto tutti i compiti assegnati nel primo trimestre».
Il problema è che, al di là delle inevitabili discussioni con i compagni di scuola sul decreto Gelmini, qualche problema Giorgia racconta di averlo avuto anche con il personale docente e con il preside. «La scuola è troppo politicizzata, non si poteva essere contro la protesta. Ho dovuto insistere con i professori perché venissero in classe, alcuni non volevano nemmeno fare l’appello, visto che ero l’unica presente di tutta la scuola. Poi mi assegnavano un compito o un’esercitazione e se ne andavano. Mi è anche stato detto che “mi facevano un favore” a farmi lezione». Poi l’autogestione finisce, e la preside, Maria Grazia Dardanelli, già candidata per la lista “A sinistra per Veltroni” per l’elezione dell’assemblea costituente regionale del Pd, convoca la ragazza. «Voleva una spiegazione del mio comportamento in occasione dell’autogestione. Mi ha detto cosa secondo lei non andava bene nel decreto Gelmini, mi ha chiesto perché io non fossi contraria, e ha concluso dicendo che questa protesta ha un fondamento, e io ho rivendicato di voler ragionare con la mia testa».
Fatto sta che poi la sorpresa arriva con la pagella. Voti bassi, ma soprattutto un sei in condotta che Giorgia proprio non si aspettava. E che attribuisce al suo atteggiamento «non conforme» nei giorni caldi dell’«onda». Sulla scheda, però, ci sono diverse ore di assenza: «Ma sono tutte normali e giustificate». Giorgia dice anche che il suo comportamento in classe è stato sempre tranquillo: «Non ho mai preso una nota». Allora perché quel voto? Chiede lumi ai professori, che si stringono nelle spalle e sostengono che quel voto sia frutto di «una media degli altri», e dicono di essere stati anche generosi. Una delle docenti non trova di meglio che minacciare un peggioramento: «Mi ha detto: “Non ti sta bene il sei? Vuol dire che il prossimo trimestre diventerà un cinque”. E poi in una materia nella quale avevo fatto una sola esercitazione prendendo la sufficienza mi sono trovata un altro cinque in pagella», spiega Giorgia sciogliendosi in una risatina nervosa. «Non sono più serena. Ho scelto questa scuola perché mi piaceva, ma non pensavo che le cose andassero così solo perché difendo le mie opinioni, a differenza di molti. Ma non lascio». La mamma annuisce. «Temo sia un problema politico. Il mese scorso parlando con la preside ho ribattuto alle sue critiche al governo dicendo che non la pensavo come lei, e subito dopo parlando di un episodio che riguardava Giorgia, alla mia richiesta di intervento lei si è inalberata dicendomi che non potevo insegnarle il mestiere». La questione ora è sbarcata al question time della Provincia di Roma per iniziativa del vicepresidente del consiglio provinciale Francesco Petrocchi (Pdl). Ma la preside nega l’episodio, bollandolo come «irrilevante e inesistente».

Però aggiunge un dettaglio: «Il 6 rappresenta la sufficienza e non comporta alcuna conseguenza rispetto al superamento dell’anno scolastico». Una scusa non richiesta?

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