di Serena Coppetti
Partono zoppicando e finiscono a ranghi ridotti. Lungo la strada arrancano. Si lamentano. Sbruffano sui libri ed esultano quando portano a casa un salvifico 6. Voti più bassi, più bocciature, meno laureati e più abbandoni scolastici. E se non fosse una scuola per maschi? Il disagio è talmente manifesto - oltre che certificato dai numeri - che non fa neanche notizia.
Che ci sarà mai di nuovo, d'altronde? Si sa, le ragazze a scuola sono più brave. I maschi? I maschi sono maschi. Lo ripetono in tutte le maestre (donne) prima, le prof (sempre soprattutto donne) dopo. Insomma lo sanno tutti. Ma non ci pensa nessuno. Salvo poi ribaltare il quadro dalla scuola al lavoro, dove i posti di potere sono occupati da uomini. A quanto pare con scarsa preparazione. Perché tra maschi e femmine dietro ai banchi c'è questa differenza? La risposta potrebbe essere banalmente liquidata incasellando la questione in quegli stereotipi di genere che ci portiamo dietro da sempre. Ma c'è un «ma», tutt'altro che filosofico. Parte dai numeri. A indagarli e a sorprendersi - lui per primo - dei risultati è stato Daniele Novara, pedagogista, formatore, direttore del (...)
(...) Centro psicopedagogico per l'esecuzione e la gestione dei conflitti. «Capita a volte di non accorgersi di fenomeni sociologici sostanzialmente eclatanti: nascono e si formano progressivamente e pian piano diventano parte di un panorama comune che diamo quasi per scontato. È quello che è accaduto negli ultimi decenni relativamente al disagio scolastico dei maschi». Lo scrive a introduzione di un numero della sua rivista «Conflitti» dedicato a questo tema.
Dunque, andare bene a scuola è una questione di genere?
I NUMERI DEL DISAGIO
La fotografia scattata è senza sbavature. Eccola. Le neurocertificazioni scolastiche (cioè quelle che evidenziano un qualche disturbo dell'apprendimento, dislessia, disgrafia, discalculia) contano molti più maschi. Alle elementari sono quasi 7 i bambini (contro 3 femmine) su 10. Più del doppio. Una differenza che si attenua, ma non cambia, neppure crescendo. Alle vecchie medie i maschi con qualche difficoltà di apprendimento certificata sono il 64,3% contro il 35,7% delle femmine. «Ho cercato di capire se esistevano risposte sul piano neurologico - spiega Novara - ma non ne ho trovate, se non alcune supposizione, neanche tanto accreditate». Quello che invece trova, sono altri dati che confermano le difficoltà dei maschi dietro ai banchi.
I ragazzi abbandonano la scuola più delle ragazze (5,1% contro 3,4% alle superiori), si diplomano con una votazione più bassa e tra i laureati la prevalenza è decisamente femminile. Un dato su tutti. La percentuale dei laureati in Italia tra i 30 e i 34 anni è del 26,9%. Bassissima (e infatti occupiamo la penultima posizione nella classifica europea). Di questi il 34,1% sono donne, mentre gli uomini sono uno sparuto gruppetto: neanche 2 su 10 (il 19,8 per cento). «Resiste il fortino maschile di ingegneria e informatica ma appare legato a stereotipi talmente banali che non penso durerà tantissimo», scrive Novara. «Le ragazze hanno una possibilità decisamente maggiore di percorrere la carriera scolastica in modo favorevole e positivo senza incorrere come i maschi in bocciature, debiti a settembre, dispersioni, ritiri, frequentazioni di scuole non esattamente di primo ordine». È come se la scuola non riuscisse ad aiutare i ragazzi a sviluppare i propri talenti.
Le ragazze battono i maschi un po' dappertutto nel mondo. I dati Ocse-Pisa raccolti tra il 2000 e il 2010 confermano che nella maggior parte dei paesi nel mondo (il 70%) succede la stessa cosa. A parte alcune eccezioni. Colombia, Costa Rica e lo stato indiano dell'Himachal Pradesh i maschi superano le femmine. Mentre non ci sono sostanziali differenze di genere in paesi come Stati Uniti, Danimarca, Paesi Bassi, Gran Bretagna, Perù, Cile e Messico. Lo studio, condotto dai ricercatori delle università di Glasgow Missouri, sottolinea come non ci sia una relazione con il gap di opportunità sociali economiche e politiche. Altro punto: dietro le cattedre ci sono prevalentemente maestre e prof donne. Un eccesso che può avere qualche relazione con le difficoltà dei maschi? Lo ipotizza Daniele Novara ma anche Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, che sottolinea «la mancanza di modelli maschili nel momento in cui i ragazzi ne avrebbero più bisogno».
Tutto questo si allunga anche nel mondo del lavoro. «I ragazzi vanno peggio a scuola? È perchè hanno smarrito una delle motivazioni che li incitava a preoccuparsi del loro futuro», sostiene uno tra i più autorevoli studiosi di Europa Marcel Gauchet nel libro in uscita per «Vita e Pensiero» con un titolo decisamente esplicito: «La fine del dominio maschile». Scrive: «Questo disinvestimento dalla scuola si prolunga in una cultura dell'immaturità maschile». Così come nel dossier di Novara, il sociologo Filippo Sani ipotizza una correlazione tra i «numeri del minor successo scolastico dei maschi con la schiera maschile dei Neet, cioè i giovani che non studiano né lavorano». Dunque, preoccupiamoci.
Francesco Dell'Oro, esperto di orientamento scolastico, in oltre 40 anni di carriera ha visto passare dal suo ufficio migliaia di ragazzi in crisi. E conferma: il 66% maschi, il 33% femmine. «Il passaggio dalla tarda infanzia alla prima adolescenza è molto più agevole per le ragazze, eccezioni a parte. Le ragazze maturano prima, si sviluppano prima, diventano un po' più responsabili. I maschi fanno più fatica a fare questo passaggio, ovviamente anche per loro eccezioni a parte».
SCUOLA VECCHIA
La distanza di genere secondo lui è accentuata «da un sistema scolastico inadeguato. Possiamo avere scuole di pensiero diverse, ma la nostra scuola è ancora quella di 80, 100 anni fa. Basata su lezioni frontali, le cattedre, i banchi». Un esperto diceva di mettere una predella sotto la cattedra per aumentare l'autorità degli insegnanti? «Io da anni vedo ragazzi che non fanno altro che chiedere insegnanti competenti, autorevoli ma soprattutto attenti al loro percorso». Specie tra i maschi. Prof consapevoli che questi ragazzi stanno attraversando «una delle fasi più belle della vita ma anche più problematiche, dove si cambia con una velocità straordinaria a livello fisiologico, ormonale, cognitivo e relazionale».
Non solo. «Un tempo imparavamo a leggere alla fine della seconda elementare. Non c'era fretta, ma tempi più distesi per l'apprendimento. Oggi, in alcuni contesti, le elementari stanno diventano una specie di pentola a pressione. Ci sono bambini che in prima fanno fatica a imparare leggere o scrivere e già vengono messi un'area di attenzione. Ma che razza di scuola stiamo proponendo?».
CAMBIARE SI PUÒ
È di recente pubblicazione il Quaderno dell'associazione Treellle «Il coraggio di cambiare la scuola» di Attilio Oliva e Antonino Petrolino. «La nostra proposta è molto forte - spiega Oliva - Il tempo lungo cioè la permanenza a scuola anche nel pomeriggio dei giovani, ma non per sentire altre lezioni... per carità bastano quelle del mattino e avanzano (abbiamo l'orario scolastico tra i più lunghi d'Europa). Dovrebbero fare attività che favoriscano lo sviluppo valoriale, culturale e comportamentale dei ragazzi anziché lasciarli liberi per strada o in famiglie deprivate dove non c'è cultura, ma tutto questo si scontra con gli insegnanti che alle 13 vogliono fuggire a casa».
Intanto potremmo partire da quello che scriveva Rodari in tempi non sospetti nella sua «Grammatica della fantasia»: «Nelle nostre scuole, generalmente
parlando, si ride troppo poco. L'idea che l'educazione della mente debba essere una cosa tetra è tra le più difficili da combattere». Forse i maschi saranno motivati e c'è da giurare che le femmine apprezzeranno.Serena Coppetti
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