Ma non si parli di genocidio

È normale che gli sceneggiatori si prendano delle libertà interpretative raccontando la storia per il cinema. Figurarsi quanta se ne può prendere un dittatore che decide di riscrivere per un film la storia del suo Paese. Gheddafi, poi, è un caso esemplare di dittatore factotum: non soddisfatto di essere guida politica e spirituale del suo popolo, interprete delle sue ambizioni nel mondo, vuole esserne anche il cantore. E usa la cinematografia, che già Mussolini definiva «L’arma più forte». Per la propaganda, ovviamente. Oggi apprendiamo che Gheddafi sta scrivendo la sceneggiatura per il film Dhulm-Anni del tormento. «Dhulm» significa «ingiustizia», in arabo, e il titolo contiene già la tesi del film, che si occupa dell’occupazione italiana. Il produttore libanese, Ramzi Rassi, ha paragonato il comportamento degli italiani in Libia al genocidio degli armeni nella Prima guerra mondiale e a quello degli ebrei nella Seconda, aggiungendo: «Fu una delle più brutte forme di colonialismo, con una scala di brutalità immaginabile». Sarà bene dunque cominciare ad attrezzarsi in vista delle inevitabili polemiche che accompagneranno la lavorazione e la proiezione del film.
Cominciamo col dire che in Libia non venne compiuto nessun genocidio, ovvero la sistematica distruzione di un gruppo etnico, razziale o religioso compiuta attraverso lo sterminio di un intero popolo con l’intento di farlo scomparire. Gli italiani non avevano nessun interesse e nessuna volontà in questo senso. Con tutto il male che si può pensare del colonialismo, l’occupazione italiana fu un fenomeno tardo-coloniale, con lo scopo di sfruttare una terra (quindi valorizzandola) e i suoi abitanti (quindi reprimendo con varia durezza chi vi si opponeva). Dopo la conquista, nel 1912, gli italiani si limitarono a occupare le zone costiere, le uniche abitabili, lasciando a se stessa la zona desertica, abitata da pastori nomadi. Il regime fascista, invece, iniziò una vera politica di conquista e di repressione della guerriglia dei resistenti libici. Il protagonista fu il generale Rodolfo Graziani, comandante delle truppe dal 1930 e vice governatore della Cirenaica dal 1931: fra il ’30 e il ’31, metà degli 80mila pastori della Cirenaica venne trucidata e 20mila furono costretti a rifugiarsi in Egitto. Fu una repressione spietata, anche con l’uso di aerei contro cammelli e fucili, e che non si risparmiò nessuna crudeltà per vincere la resistenza, compreso lo sterminio del bestiame per mettere alla fame intere aree che vivevano di pastorizia.
L’arrivo di Italo Balbo come governatore, nel 1934, cambiò tutto. Balbo ottenne l’allontanamento di Graziani e iniziò una politica pacificatrice e di grande apertura verso la popolazione autoctona, con un paternalismo illuminato che non ha riscontro in nessuna delle altre amministrazioni coloniali italiane e pochissime in quelle di altri Paesi. Fece chiudere subito i cinque campi di lavoro forzato esistenti e incoraggiò il ritorno dei profughi dall’Egitto e dalla Tunisia. Anche per ambizioni personali e per dissensi dalla politica mussoliniana, Balbo dette alla Libia un’organizzazione il più possibile indipendente dalle strutture nazionali italiane e fasciste. Vennero sviluppati l’artigianato locale e il turismo e data una rara efficienza ai servizi pubblici. Balbo si batté anche per parificare i cittadini libici a quelli della madre patria, che arrivarono numerosi a cercare di rendere fruttuosa quella terra avara. Non venne scoperto il petrolio perché le trivelle dell’epoca non erano ancora abbastanza potenti ma furono trovate e valorizzate falde acquifere tuttora preziose per il Paese. Le strade furono più che raddoppiate e venne costruita la «Balbia», 800 chilometri lungo la costa.
In un viaggio in Libia, una decina di anni fa, ho potuto constatare di persona che gli italiani sono ricordati senza ostilità dai vecchi libici, nonostante la propaganda del regime, che arrivò a espellere persino le salme dei defunti italiani.

Oggi si intende risarcire la Libia per l’occupazione coloniale, ricostruendo la vecchia «Balbia» come risarcimento. Può essere giusto, perché ai libici portammo anche violenza e oppressione. Ma viene qualche perplessità, al pensiero che contemporaneamente Gheddafi spende 40 milioni di dollari per un film di propaganda anti italiana.

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