Lo snobismo culturale di certa stampa di sinistra può produrre talvolta effetti negativi di cecità e arroganza, tali da ribaltare non solo la verità ma anche l'oggettivo riconoscimento del lavoro, dell'impegno, della bontà di un impresa. È il caso di una giornalista de Il Manifesto, Bianca Schwarz, che ha deciso, un po' per antipatia personale nei miei confronti, un po' per una naturale predisposizione a non vedere, di contrastare una esposizione piena di capolavori, di indubbia qualità e di assoluta rarità (due requisiti essenziali per giustificare una mostra che non si compiaccia dell'ovvio) con argomenti aprioristici e inconsistenti. Mai con il giudizio sulle opere e sulla loro importanza storica. Difficile contrastare la presunzione dell'ignoranza. La, fin qui ignota, giornalista, forte del presidio di un giornale autorevole, ma evidentemente non dotata né di occhi né di buoni studi, si ostina a diffamare la mostra «Caravaggio e l'Europa», dedicata, per sua vocazione e per precisa determinazione del Comitato Nazionale per le Celebrazioni di Mattia Preti, al seguito caravaggesco, che un grande studioso come Benedict Nicolson chiamò «movimento internazionale caravaggesco» e che io ho puntualizzato, con gli estremi di partenza e di arrivo, «da Caravaggio a Mattia Preti». Naturalmente la promessa mancata della critica, per farsi riconoscere nel coro di consensi ed ammirazione (di capolavori) da parte di osservatori e critici anche molto esigenti, non è soddisfatta. Prima ritiene ingiustificata la mia polemica con i funzionari di Stato avari nei prestiti delle opere di Caravaggio con pretestuose ragioni di conservazione; poi, quando le spiego che quei divieti sono ingiustificati e che non si possono sottrarre al pubblico godimento opere straordinarie per i capricci di chi minaccia di restaurarle senza ragione, cerca altri pretesti per chiamare una onesta mostra: «ennesimo abuso caravaggesco».
Ma di cosa parla? Intanto, per smontare i suoi argomenti, basti dire che Il Seppellimento di Santa Lucia, capolavoro siciliano di Caravaggio, indebitamente trattenuto dall'Istituto Centrale del Restauro a Roma, dove doveva essere «monitorato» (non si sa perché), è stato «liberato» per volontà del legittimo proprietario e del titolare della tutela, la Regione Sicilia, e proprio oggi arriva a Milano per essere esposto in mostra a Palazzo Reale. Si potrà così vedere (ma non da chi non ha occhi) che non ha alcun problema di conservazione che non sia stato già risolto nei precedenti (e definitivi) restauri di Cesare Brandi e di Giovanni Urbani, durati più di dieci anni (in cui il dipinto non si poteva vedere). L'abuso era (ed è) nasconderlo, senza necessità. Inutile spiegare queste ragioni «democratiche», di difesa dei diritti di chi vuol vedere le opere d'arte, all'elitaria giornalista de Il Manifesto che parla a vanvera di abusi. La fin qui ignota Bianca Schwarz, a cui suggeriamo di studiare, con l'umiltà di Gianni Papi, anche i quadri che non capisce, forse orecchia banalità e pettegolezzi di qualche studioso escluso dal Comitato (sceltissimo) della mostra e io qui la difendo da ingiustificate critiche non come curatore ma come presidente di un comitato nel quale hanno lavorato, con grande impegno, i migliori esperti dell'argomento.
La scelta delle opere è stata fatta dagli specialisti più accreditati dei diversi pittori. Wolfgang Prohaska è il massimo conoscitore di Battistello Caracciolo e di molte questioni napoletane. Sandro Benedetti è lo scopritore dell'ultimo importante Caravaggio, La cattura di Cristo, del Museo di Dublino. Luigi Spezzaferro è un caravaggista di lungo e onorato corso e ha pubblicato l'unico affresco noto del Caravaggio. Nicola Spinosa è il curatore di tutte le mostre sui maestri napoletani, da Ribera a Battistello, a Stanzione, a Preti e de «L'ultimo Caravaggio», mostra importante, appesantita, quella sì, da alcune opere «abusive» attribuite senza fondamento al grande pittore. Claudio Strinati è un buon conoscitore della pittura del Seicento ed erudito studioso del Manierismo negli anni della formazione di Caravaggio a Roma. Rossella Vodret ha organizzato, tra nuovi studi e restauri, importanti mostre caravaggesche in Italia e all'estero e oggi è Sovrintendente ai Beni Artistici e Storici di Roma. Gianni Papi è un puntiglioso ricercatore che, su mandato del Comitato, ha catalogato quegli artisti caravaggeschi che, ancora, restano senza nome; e, su mio suggerimento, ha riesumato una definizione di Roberto Longhi adottata per altri maestri sconosciuti: «il genio degli anonimi».
Per il pur piccolo avanzamento di conoscenza che, attraverso nuove ricerche, quei dipinti raccolti in gruppi consentono, è sembrato giusto dedicare questa sezione «al genio conosciuto di Roberto Longhi» il quale, se genio aveva, non avrebbe desiderato essere mummificato come vorrebbe la Schwarz, perseverando nella sua ignoranza e nel suo snobismo. Non le piace che io abbia chiamato la mostra di Palazzo Reale «nuova edizione dell'esposizione longhiana del 1951» e afferma: «Quella ebbe il merito di aprire agli studi, questa rischia di azzerarli». La Schwarz non sa quello che dice. La mostra - basterebbe la ricca sezione su Ribera giovane a Roma, che provvisoriamente il Longhi identificava nell'anonimo «Maestro del giudizio di Salomone» - non azzera gli studi, ma consente di vedere dipinti poco conosciuti in una trama di relazioni spesso illuminanti, anche approfondendo intuizioni «sperimentali» del Longhi.
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