«Non solo poveri negli alloggi Aler»

Rozza: «Sgravi fiscali per chi decide di calmierare il canone». L’assessore Borghini: «Sfida possibile»

Gianandrea Zagato

«Chiediamo per l’edilizia pubblica e privata un tetto massimo dell’affitto, con la possibilità di sgravi fiscali per quei privati che decidono di calmierare il canone». Proposta firmata Sunia. Che per le fasce più povere chiede «canoni di locazione legati al reddito e l’intervento del fondo regionale per coprire la differenza». Sindacalese che tradotto in italiano vuol dire «un patto tra pubblico e privato per governare il fronte dell’affitto e quello del degrado». Come dire: mettere al primo posto dell’agenda politica quel problemino vissuto dagli appartenenti al ceto medio che non riescono più a sopportare aumenti di canone di locazione nel perimetro di Milano. Problema identico, naturalmente, a chi con un reddito familiare molto basso non riesce a ottenere un alloggio in condizioni minimamente decenti. Denuncia della necessità di rivitalizzare la vita dei quartieri e garantire migliori condizioni di sicurezza ai residenti. Scelta coraggiosa, quella del sindacato guidato da Carmela Rozza: nuova sfida «possibile» per un problema «straordinario» fa sapere l’assessore regionale alla Casa Piero Borghini. Che preannuncia «la disponibilità del Pirellone a valutare la proposta del Sunia all’interno di una nuova politica della casa, anche perché il sistema dell’affitto è ormai fuori controllo». Talmente squilibrato, annota Rozza, che in Lombardia «esistono sette sistemi differenti per l’affitto. Il risultato? Il mercato è abbandonato a se stesso».
Condizione dal saldo negativo che non favorisce la qualità della vita e che non tiene in debito conto della sempre più diversificata domanda di casa: «Ci sono famiglie giovani che non riescono a pagare l’affitto e ci sono single che non trovano tagli d’alloggio adeguati» osserva il Sunia. Virgolettato frutto di un’emergenza in attesa di risposta: poveri e pensionati, giovani coppie ma anche studenti ovvero il ceto medio che non riesce più a guardare al futuro. «Grido di dolore» come ama definirlo Luciano Niero, che da presidente Aler gestisce poco più di quarantamila alloggi spalmati sul territorio milanese: «Gestione fatta con pochi soldi. Abbiamo sin qui curato le case usando i cerotti. E il futuro è ancora più nero: non ci sono soldi per garantire maggior qualità agli alloggi dove vivono settantamila e rotti affittuari». Leit motiv, quello della mancanza di soldi, che può essere superato dall’alleanza pubblico e privato, dove si può avere uno sviluppo sostenibile che coniughi il bisogno di avere una casa con le esigenze di tutti i cittadini. Svolta possibile per chi, come la giunta lombarda, «non vuole vendere ma valorizzare il suo patrimonio abitativo» anche se «è auspicabile che un inquilino, dopo tanti anni di locazione diventi proprietario della casa in cui ha vissuto». Condizione dove, dicono i costruttori, il limite «è però rappresentato dai tempi della politica che non sono coerenti con gli interessi della città» anche se esiste la volontà di affrontare il problema, sia di geografia edilizia che sociale.

Duplice aspetto messo nel mirino dai contratti di quartiere già operativi e dall’«housing sociale», neologismo caro ai sociologi, che, a Milano, si cerca di tradurre fattivamente: per affrontare il problema abitativo in modo organico senza però trascurare un’altro risvolto, quello della socializzazione e dell’integrazione.
gianandrea.zagato@ilgiornale.it

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