Nordest, prosegue la rivolta anti moschee

L'orgoglio islamico di "seconda generazione" è già un mezzo partito. Cresce la rabbia nel Nordest. Giù le mani dalle nostre radici, boicottiamo chi li finanzia. L'allarme di Gentilini: "Treviso nel mirino di estremisti"

Nordest, prosegue  
la rivolta anti moschee

Francesco De Remigis

Studenti perfettamente integrati nel tessuto sociale, lavoratori con meno di trent’anni. Ecco chi guida la rivendicazione islamica che da giorni sta turbando la quiete del comune di Treviso e sta facendo proseliti in tutto il Nordest. Sono giovani con sfumature culturali diverse, ma con un comune denominatore: sono musulmani di seconda e terza generazione. Figli di immigrati che vivono in Italia da quasi vent’anni, cresciuti nelle scuole elementari e nei licei italiani. A Treviso si sono organizzati e hanno fondato un’associazione con un nocciolo duro di una quarantina di iscritti: «Seconda generazione». Ma quando si è trattato di occupare un’area della città per la preghiera, senza l’autorizzazione del Comune, sono arrivati simpatizzanti da tutta la Marca Trevigiana.

Rivendicano a gran voce, ma senza violenza fisica, il loro diritto a inginocchiarsi ad Allah e a indossare il velo. Vogliono pregare, certo. Ma anche dare un segnale forte alle amministrazioni comunali che si rifiutano di concedere spazi per la costruzione di moschee, o più semplicemente di ascoltare le loro voci. Un vero e proprio programma di azioni politiche, come un «partito» in embrione.
A Treviso si susseguono già da qualche mese episodi analoghi e il pensiero corre alle prime ondate di protesta nelle banlieu parigine.

Tra gli animatori di questa nuova ondata, che chiede di praticare il culto musulmano nella città anche in assenza di una moschea, è la studentessa marocchina Meryem Fourdaous. Ventunenne spigliata nei modi e pratica nelle lingue: ne parla cinque. I musulmani più anziani che vivono a Treviso non condividono la politica del muro contro muro che porta avanti assieme al suo gruppo. Ma «Seconda generazione» comincia a fare proseliti anche a Padova, dove Meryem frequenta l’università. Nel Nordest la comunità musulmana non supera i 150mila fedeli, 125mila dei quali nel Veneto, e nella maggior parte dei casi ben integrati nel tessuto cittadino. Dunque da cosa nasce una simile ondata di orgoglio islamico under 30? Basta guardare all’Europa per accorgersi che non si tratta di un fenomeno isolato. In Inghilterra, per esempio, uno studio del Policy Exchange di Londra spiega che tra i giovani musulmani proprio quelli britannici a tutti gli effetti rischiano l’estremizzazione. Una specie di paradosso del multiculturalismo raccontato nel dossier «Vivere separati insieme» che Londra ha prodotto due anni fa.

Quello di Treviso non è un caso isolato. Il fenomeno interessa, in misura minore, altre città del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, come Padova, Venezia, Verona, Vicenza e Udine. Anche lì negli ultimi mesi si sono verificati episodi simili. Piccoli gruppi che puntano a sconfessare la linea morbida finora abbracciata dai leader delle comunità islamiche locali. Quella che si sta consumando a Treviso, e più in generale nel Nordest, rappresenta dunque una rottura con i musulmani della prima ondata migratoria, abituati a discutere l’acquisizione di aree per il culto con pazienza e accortezza. Per una soluzione magari più lontana, ma solitamente più efficace.

Ora le cose sembrano cambiate. I moderati sostengono che il comportamento di questi giovani sia ispirato dai genitori che hanno raccontato loro quanta fatica abbiano fatto per insediarsi nelle città del Nordest, a causa di un pregiudizio verso chi arrivava senza conoscere al meglio l’italiano. Loro invece lo parlano perfettamente e oggi provano a dimostrare che i musulmani sono più forti di quanto non credano i genitori.

Esiste anche un coordinamento nazionale giovani immigrati di seconda generazione patrocinato dall’Anolf (Associazione nazionale oltre le frontiere) che organizza seminari e offre la possibilità di confrontarsi sui temi dell’attualità e

sulle esigenze delle comunità. Lì i musulmani non sono molti, ma il loro messaggio è sempre stato chiaro: i giovani che sono cresciuti in Italia devono avere la libertà di praticare il proprio culto senza essere penalizzati.

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