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La Norvegia innamorata dei rifiuti di Napoli

Nessuno vive bene come loro. Le ricchezze del Paese sono distribuite meglio solo in Giappone, lo Stato sociale non ti lascia mai solo, uno su tre è laureato, sei su dieci è diplomato, puoi arrivare a vivere felice almeno fino agli ottant’anni. Non hanno praticamente debito pubblico, sono il primo produttore europeo di petrolio, non hanno grane con l’euro perchè hanno ancora la corona, respirano l’inverno a pieni polmoni, perchè lassù dove stanno l’aria è sempre pulita e non soffrono di vertigini. Secondo l’Onu la Norvegia, che è grande poco più dell’Italia ma ha lo stesso numero di abitanti dell’Emilia Romagna, è il primo Paese al mondo per qualità della vita, quella che tutti cercano nell’era della frenesia, una specie di paradiso in terra. Ma ha un sogno proibito, un desiderio inconfessabile, un bisogno che più sporco non si può: la monnezza di Napoli, indistinta e mai differenziata, come viene viene, la peggiore che c’è. Se da noi i tiggì raccontano la spazzatura come la peste spagnola, un nightmare che si riproduce a settimane alterne, impermeabile persino alla criptonite, i loro tiggì, soprattutto quelli della tv pubblica norvegese, Nrk, commentano gli stessi filmati con il tono soave che accompagna le novelle sugli elfi. La vogliono loro la rumenta e non vedono l’ora che arrivi. Perchè è «una ghiotta opportunità», spiegano freddi, che se colta al volo, moltiplicherebbe le capacità energetiche del paese. Una miseria che può trovare nobiltà, una ricchezza che vale doppio, calcolano furbi peggio dei napoletani. Perchè il favore di portarti via i sacchetti puzzolenti non è mica gratis ma l’energia che produrrebbero si. E quella sarebbe tutta loro.
Basta fare quattro calcoli per capire perchè per loro l’immondizia di Napoli non è un’emergenza ambientale ma un super affarone. Per le ottantamila tonnellate di secco da smaltire in quattro impianti, tre norvegesi e uno svedese, a più di tremila chilometri di distanza, la Provincia di Napoli dovrebbe pagare 90 euro a tonnellata, più di sette milioni di euro. Che incenerite diventano riscaldamento, soprattutto il secco, dall’alto potere calorifero. E sapete lassù che freddo fa. «Abbiamo inviato due nostri rappresentanti a Napoli — spiega Gerner Bjerkås, responsabile della comunicazione dell’agenzia per l’energia di Oslo — perché è nell’interesse di tutti che la capitale norvegese riempia il proprio inceneritore». Hanno già pensato anche al traporto. Le navi che arrivano al porto di Napoli piene di cartone e legno invece di tornare indietro vuote fanno il carico di rifiuti. Sarà un bando internazionale a decidere, per ora è ancora fase di sondaggio e contratti firmati non ce ne sono, anzi se il rischio è troppo non se ne fa nulla.
I norvegesi, ma anche gli svedesi, non fanno altro del resto che obbedire alle direttive europee che prevedono che ogni paese che sceglie di realizzare un piano di smaltimento e riciclo dei rifiuti deve pianificare una dotazione energetica superiore al fabbisogno previsto e in Svezia e Norvegia, anche per colpa della crisi, manca la materia prima, cioè i rifiuti che si sono ridotti, il servizio di incenerimento ha perciò prezzi competitivi e il mercato è garantito.
Del resto anche Napoli, sempre per colpa della crisi, ha ridotto di quasi un punto e mezzo percentuale la produzione media di spazzatura nel 2009 rispetto al 2008: dalle 585 mila tonnellate di due anni fa alle 568 mila dell’anno scorso.

Così nell’eventualità si risparmia un po’. Resta il fatto, paradossale, che il paradiso in terra, per scaldarsi, sogna una fetta di inferno napoletano. E sapete com’è: non c’è niente di peggio che realizzare i propri sogni.

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