La nostalgia di Pedro: le donne e l’infanzia

In «Volver», che andrà a Cannes, il regista torna a esplorare l’universo femminile

Maurizio Cabona

da Madrid

Donne, donne, eterni dèi di Pedro Almodóvar. E sono donne nate tali, non transessuali. Il regista e sceneggiatore torna agli albori del suo cinema e infatti il nuovo film s’intitola Volver («Tornare»). Ieri l’ha presentato alla stampa a Madrid, evocando il legame fra la vicenda sullo schermo, con sconfinamenti in un fantastico molto concreto, e la storia della sua famiglia, originaria di Calzada de Calatrava, nella rurale Mancha dove lui, negli anni Cinquanta, passò l’infanzia, prima di trasferirsi a Madrid e diventare, per oltre un decennio, un impiegato della compagnia dei telefoni.
Volver è ambientato oggi, ma evoca fatti di ieri. Mutatis mutandis, per la Spagna di Zapatero questo film è un evento, come sarebbe per l’Italia di Berlusconi un ipotetico film sulla Sicilia di oggi che risalisse a quella di Sedotta e abbandonata.
Raccontare il passato dal presente è tipico dell’ultimo Almodóvar, oltre che un sicuro risparmio nei costumi e nella messa in scena. Ma c’è anche un effetto straniante sullo spettatore ed è questo che Almodóvar vuole, per trasmettergli meglio il suo senso di solitudine. In questa ben camuffata operazione-nostalgia il regista lascia infatti capire non solo quanto si senta «spirito della vigilia», ma anche quanto la «vigilia» gli manchi: solo la repressione, ieri, giustifica la licenza, oggi. Sarà un caso, ma il film cominciò a esser girato nello scorso luglio, proprio quando la Spagna «cattolicissima» diventava laicissima, adottando il matrimonio gayo.
Volver uscirà in Italia il 19 maggio, durante il Festival di Cannes dove il film, se sarà in concorso, sarà un favoritissimo candidato alla palma d’oro, il premio che Almodóvar non ha ancora vinto. Pensato per una giuria di specialisti, oltre che per un pubblico generalista, Volver è infatti una densa amalgama di cinefilia, fin dalla trama, ispirata dal Romanzo di Mildred di Curtiz e da Arsenico e vecchi merletti di Capra. Ma, guardando la recitazione, si notano altri debiti: la protagonista, una Penelope Cruz coi glutei volutamente espansi, è truccata come la Loren nella Ciociara, urla e gesticola come la Magnani in Bellissima, si (s)pettina come la Cardinale nella Ragazza con la valigia. E Almodóvar ammette tutto ed è onesto, se non originale, perché potrebbe tacere, visto che perfino in Italia le tv non trasmettono più quei vecchi film, perché il bianco e nero «riduce gli ascolti».
In Volver le consuete stranezze (incesto ecc.) non mancano, visto che sono essenziali alla «cifra» almodovariana. Ma sono più raccontate che mostrate. Senza questi fardelli, sovrabbondanti in Tutto su mia madre, arrivato solo secondo a Cannes nel 1999, Volver procede leggero come si proponeva Almodóvar quando, prima di cominciarne le riprese, ce lo descriveva «una commedia drammatica». Ossimoro che si poteva perdonare allora e che oggi il risultato giustifica.
Il titolo del film viene da una canzone di Gardel. E a tornare alle origini, insieme ai suoi personaggi, Almodóvar ha preso ormai gusto. L’aveva fatto anche con La mala educación, film riuscito a metà, ma che per quella metà - la parte del collegio negli anni Sessanta - era commovente. Più la Spagna diventa simile a quella che il ragazzo Almodóvar sognava, più l’adulto Almodóvar sogna dunque di tornare a quella di prima!
Perché? Perché, in generale, solo il peccato - la trasgressione, nella versione laica - rende pieno l’erotismo. Ma c’è probabilmente anche un’altra ragione: l’età del declino fisico (non certo mentale per Almodóvar, classe 1951) dà la nostalgia per l’età della crescita.
La novità fiancheggia la consuetudine. In Volver più che in altri film di Almodóvar affiora l’iper-odio del padre e l’iper-amore della madre. Aneddoto che aiuta a capire: alla sua prima venuta a Roma, Almodóvar si fece portare da Maria Pia Fusco nella trattoria dell’ultima cena di Pier Paolo Pasolini, che ebbe lo stesso antagonismo col padre e la stessa identificazione con la madre tipici di Almodóvar.
Non solo: Volver giunge dal presente al passato attraverso la morte, naturale e volontaria. Morte naturale per le donne; violenta per gli uomini, parassiti, velleitari, violenti. Però violento, fino a trovare reale morte violentissima, fu anche Pasolini.

C’è da chiedersi se ne sia consapevole Almodóvar, se si renda conto che le sue requisitorie sfiorano l’autoaccusa. Ma è un interrogativo retorico. Lui lo sa benissimo. Solo che non è ancora venuto il tempo per questo ultimo outing.

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