«Il nostro incontro tra rock e poesia»

«Fu un incontro epocale tra musica e poesia». Così Franz Di Cioccio, granitico batterista della Pfm, ricorda i concerti e il disco dal vivo del 1978 con Fabrizio, definito affettuosamente «il maestro». Son passati trent’anni, e la band continua a rivivere i brani di De André nei concerti e ora con il cd-dvd Pfm Canta De André, registrato a Sulmona il 29 marzo scorso. «Il disco chiude un cerchio aperto trent’anni fa - puntualizza Di Cioccio -; purtroppo non esiste un documento filmato dell’epoca, così abbiamo pensato di riproporre quelle atmosfere».
Come avete convinto De André a suonare con voi?
«È stato una specie di miracolo convincerlo a buttarsi nel rock. Lui era un Acquario, come me, quindi sapevo che amava il rischio. Quell’anno, tornati da un tour americano, andammo a suonare a Nuoro. Lui si era praticamente ritirato dalle scene, ma venne al nostro concerto (si fece accompagnare da un amico perché non aveva la patente) e rimase colpito dalla potenza del nostro suono».
E quindi?
«Dopo il concerto, davanti a qualche bottiglia di Vermentino, gli feci la proposta indecente; cominciai a suonare con le forchette sui piatti ed i bicchieri, saltò fuori una chitarra e il gioco gli piacque subito, perché era pericoloso e inedito».
In che senso?
«Era l’unione tra due mondi apparentemente incompatibili: il rock e la poesia. Le sue erano ballate meravigliosamente intimiste in cui il testo era tutto. Qualcuno gli diceva: “stai attento, la Pfm ti sommerge, senti come suonano forte”, ma più lo sconsigliavano più lui si convinceva di questo progetto».
Cosa avete dato voi a De André e viceversa?
«Quel disco del ’78 è diventato un classico perché il suo carisma e la forza delle sue parole si sono sposati alla perfezione con il dinamismo del nostro sound. Un’alchimia irripetibile. Lì è nato un nuovo modo di interpretare la musica d’autore e unirla al rock».
Fabrizio era soddisfatto del risultato?
«Era felice, infatti non ha più voluto ripetere l’esperimento. Ci siamo visti spesso ma quel momento è rimasto magico».
Voi però lo riproponete.
«L’opera di De André per noi è un classico, come Amleto, quindi lo interpretiamo a modo nostro ma seguendo i canoni della tradizione. Io canto i suoi brani ma è impossibile e anche inutile imitarlo; cerco di comunicare le sue emozioni attraverso le mie. Noi suoniamo sempre allo stesso modo, la vera novità del cd è che la Pfm “canta” De André. Il pubblico impazzisce per questo concerti; ne abbiamo tenuti più di 70 e continuiamo - pur lavorando ad un nuovo album - a proporli. Domani saremo a Bardonecchia».


Cosa vi manca di lui?
«Tutto, ma in particolare il suo canto dell’anima, quel modo che aveva di entrare dentro ognuno di noi con le sue parole per farci riflettere. Oggi, con tutti i guai che abbiamo, la sua saggezza ci aiuterebbe. Pensate a La guerra di Piero, inno antimilitarista che non tramonta mai».

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