La sua ultima speranza si chiama Copenaghen. E non è una grande prospettiva. Anche a dar retta agli ottimisti un finale di successo al summit sul clima è più improbabile del solito cammello nella cruna dell ago. Del resto Ban Ki Moon a qualcosa si deve aggrappare. In due anni e dieci mesi da segretario generale dellOnu ha visitato 111 Paesi, partecipato a 374 incontri e vagato per un milione di chilometri solo nellultimo anno. Se il successo si giudicasse dal contachilometri sarebbe uno zar globale. Invece niente. Dopo tanto girare non ha ancora portato a casa un solo successo. Dopo tante strette di mano non cè potente o segretaria dellOnu che si ricordi di lui. In Libano il premier Fouad Siniora lo confonde con il predecessore e lo saluta con un «Buongiorno mister Annan». Al Palazzo di vetro una circolare raccomanda di non chiamarlo ne «Signor Moon», come la Luna ne «signor Ki», ma semplicemente signor Ban. Ma per Mister Nessuno queste son quisquilie. Il peggio arriva se deve incontrare dittatori, trattare con tiranni, mediare tra eserciti in guerra e per salvare la pelle a innocenti. Allora sono guai. Soprattutto per chi sta dalla parte dei perdenti. Chiedetelo ai civili Tamil. A maggio, quando il governo dello Sri Lanka lancia loffensiva finale contro i guerriglieri del Ltte e ne uccide il leader Velupillai Prabhakaran il segretario generale contatta il presidente Mahinda Rajapaksa e gli propone la classica offerta da non rifiutare. Le Nazioni Unite, spiega, possono tacere sulle migliaia dinnocenti massacrati fino a quel momento se le autorità garantiranno una via duscita ai civili Tamil intrappolati nella morsa dellesercito. I generali di Colombo non possono sperare in meglio. Si fermano un paio di giorni, tanto per illudere il signor Ban e fare il pieno di munizioni, poi riprendono allegramente lo sporco lavoro. Una settimana dopo la penisola di Jaffa è un cimitero a cielo aperto dove si contano almeno 7.800 civili uccisi.
Lirrefrenabile salvatore del mondo non si scoraggia. Ai primi di luglio è a Rangoon per strappare dalle grinfie del regime birmano leterna prigioniera Aung San Suu Kyi appena ricondannata ad altri 18 mesi di arresti domiciliari. Il capo tiranno Than Shwae lo riceve con un sorriso, ma quando il signor Ban gli spiega di voler cortesemente incontrare anche la signora San Suu Kyi gli gira le spalle e gli augura buona permanenza. A quel punto l ambasciatrice della Norvegia allOnu, Mona Juul, mette da parte la sua flemma nordica, prende carta e penna e scrive quel che pensa di lui al proprio ministro degli Esteri. Per la furibonda Mona quel segretario generale è un essere «senza fascino e senza spina dorsale», una iattura che ha fatto perdere «voce e autorità morale alle Nazioni Unite». Poi la stilettata finale. «Il segretario generale si è comportato da osservatore impotente mentre migliaia di civili perdevano le loro vite ed erano costretti ad abbandonare le proprie case». La lettera riassume quel che tutti dal Palazzo di vetro alle principali cancellerie internazionali ripetono da due anni. Peccato che stavolta rimbalzi sulle pagine dellAftenpost, il quotidiano più letto dai norvegesi e da lì sulla stampa internazionale.
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