Nucleare, verso un piano europeo

Livio Caputo

Non solo l’Italia, ma tutta l’Europa (con l’eccezione della Francia, che produce il 75 per cento della sua elettricità nelle centrali nucleari) è stata messa in allarme dalla inopinata riduzione delle forniture di metano russo, dovute prima allo scontro tra Mosca e l’Ucraina e poi ai rigori dell’inverno. Non solo i governi, ma anche la parte più illuminata dell'opinione pubblica, hanno dovuto prendere atto che l’eccessiva, e in certi casi totale dipendenza da fonti di energia fuori dal nostro controllo costituisce un elemento di debolezza molto grave in un mondo sempre più inaffidabile. Dal momento, tuttavia, che il petrolio e il gas estratti sul territorio dell’Unione sono del tutto insufficienti a coprirne il fabbisogno, e che le cosiddette fonti rinnovabili possono avere solo una funzione marginale, l’unica possibilità per affrancarsi almeno in parte dai piani egemonici della Russia, dai ricatti dell’Iran, dai furori populisti del Venezuela e dal caos nigeriano è di costruire nuove centrali nucleari, come stanno già facendo massicciamente Giappone, Cina e tutte le nuove potenze industriali dell’Asia, nostre principali concorrenti.
Il consenso su questa opzione è ancora tutt’altro che unanime, ma le voci favorevoli si stanno moltiplicando, da Blair alla signora Merkel. La decisione della Finlandia - uno dei Paesi più sensibili ai temi ambientalisti - di procedere alla costruzione di una grande centrale di terza generazione ha contribuito a infrangere il tabù. Anche in Italia le cose si stanno muovendo, e le vicende di questi giorni incoraggeranno senza dubbio chi si propone di archiviare finalmente lo sciagurato referendum del 1987. Forza Italia è già su questa strada: a favore si sono pronunciati il presidente Berlusconi, il ministro per le Attività produttive Scajola, il ministro dell’Economia Tremonti, e c’è una ragionevole speranza che il ritorno al nucleare venga inserito nel programma elettorale del centrodestra.
Inutile nascondersi che le difficoltà da superare sono molteplici. Primo, la diffidenza e l’ostilità di molti cittadini, ancora sotto l’impatto della tragedia di Cernobil e della demagogia ambientalista, che si traduce nella difficoltà a reperire i siti per la eventuale costruzione di nuovi impianti; secondo, l’elevato costo delle centrali nucleari, circa doppio di quello delle centrali a metano o a carbone, e di conseguenza i tempi lunghi necessari per l’ammortamento nonostante il basso costo del combustibile; terzo, le persistenti difficoltà per lo smaltimento delle scorie radioattive, che nessuno vuole neppure se sepolte nelle viscere della terra; quarto, i tempi lunghi necessari per un programma di costruzioni capace di fare davvero la differenza; quinto, il timore che le centrali possano diventare il bersaglio di un attacco terroristico stile 11 settembre.
Gli argomenti a favore del nucleare, tuttavia, stanno guadagnando terreno: non solo la prospettiva di una maggiore autonomia energetica, ma anche quella di ridurre le emissioni di gas serra e di utilizzare un combustibile - l’uranio - le cui scorte sono molto più abbondanti e meglio distribuite nel mondo di quelle di idrocarburi. La certezza che solo il nucleare permetterebbe all’Europa di rispettare i parametri di Kyoto sta producendo i primi ripensamenti anche in ambienti fin qui irriducibilmente ostili a un ritorno all’atomo.
Se vogliamo uscire dalla fase di dibattito e arrivare a quella delle decisioni, il momento buono potrebbe essere proprio questo. Lo shock di questo inverno dovrebbe, cioè, spingere l’Unione Europea a prendere l’iniziativa. Trasformare il problema dell’approvvigionamento energetico da nazionale in europeo sarebbe infatti non solo un passo importante (e sicuramente popolare) verso una maggiore integrazione, ma anche un modo per dimostrare che Bruxelles è capace di supplire, se necessario, alle esitazioni e ai dubbi dei singoli governi e di guardare avanti. Un programma nucleare europeo, basato sulle più moderne tecniche disponibili e magari finanziato da quegli eurobond che l’Ecofin prenderà prossimamente in esame potrebbe essere la risposta migliore dell’Unione per liberarsi, nel tempo di dieci anni, dall’assedio cui rischia di essere sottoposta.

Dei suoi venticinque membri, tredici dispongono di centrali, dalle 59 della Francia all’unica di Olanda, Lituania e Slovenia. In teoria, siamo perciò già alla maggioranza. Di fronte a un progetto serio, ben presentato e rassicurante, gli altri seguirebbero.

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