La nuova Costituzione: meno parlamentari e il Senato federale

Gianfranco Fini chiede una «grande stagione costituente», per dare più potere al governo e «chiamare allo scoperto la sinistra» per capirne le proposte. Massimo D’Alema risponde che il centrosinistra «dovrebbe raccogliere la sfida in positivo» lanciata dal presidente della Camera. Si riapre una discussione in corso da anni che riguarda la riforma della seconda parte della Costituzione e in particolare la struttura delle Camere e la forma di governo.

Al momento, secondo il ministero delle Riforme istituzionali, sono all'esame del Parlamento quattro iniziative legislative mentre sono addirittura 223 i testi depositati di cui non è ancora cominciato l’esame: una media di cinque proposte alla settimana. Ecco i nodi principali, su cui al termine della scorsa legislatura centrodestra e centrosinistra avevano raggiunto un sostanziale consenso di fondo.
Le nuove Camere: Senato federale

Camera e Senato cambieranno natura. Si va verso una Camera politica, eletta direttamente dal popolo, che concede e revoca la fiducia al governo, mentre Palazzo Madama ospiterà un’assemblea rappresentativa delle regioni, un Senato federale eletto dai consigli regionali e dai consigli delle autonomie locali. Ogni regione eleggerà un numero di senatori proporzionale al proprio numero di abitanti, da un minimo di cinque a un massimo di 12. Resteranno i 12 deputati e i 6 senatori eletti nelle circoscrizioni estere. Ogni cinque anni gli italiani dunque eleggeranno i membri di Montecitorio, mentre i senatori decadranno al decadere dei consigli regionali e successivamente saranno rieletti dai nuovi «parlamentini» locali. La seconda carica dello stato, che sostituisce il presidente della repubblica nei casi previsti dalla Costituzione, non sarà più il presidente del Senato ma quello della Camera.

Bicameralismo imperfetto
Nella formazione delle leggi sarà modificato il meccanismo previsto attualmente dalla Costituzione. Il testo non dovrà più avere la doppia approvazione delle due Camere, ma basterà il via libera di Montecitorio. Saranno disciplinate le eccezioni: è molto probabile che le materie in cui continuerà a essere necessario il doppio benestare siano la revisione della Costituzione, la modifica del sistema elettorale, la definizione delle funzioni degli organi di governo e degli enti locali, l'istituzione e la disciplina delle Autorità di controllo e garanzia, le minoranze linguistiche. Saranno i presidenti delle Camere a stabilire quali progetti di legge dovranno passare anche dal Senato federale. In questi casi, i testi andranno prima al Senato e poi alla Camera, che delibererà in via definitiva.

Minor numero di parlamentari
La riforma ridurrà il numero di deputati e senatori. Il taglio dovrebbe essere del 20 per cento alla Camera, dove si scenderà dagli attuali 630 a 512, e più consistente al Senato: da 315 a 200. Cambierà anche l'età per entrare a Montecitorio, non più gli attuali 25 anni ma 18. Per ambire al Quirinale, invece, basterà aver compiuto 40 anni e non 50 come oggi.

Regolamenti più snelli
Parallelamente al ridisegno delle competenze delle Camere e alla riduzione dei loro componenti, si procederà anche alla revisione dei regolamenti parlamentari. Non è, questo, un tema di rilievo costituzionale, ma si può intervenire con semplici leggi ordinarie. Il centrodestra chiede meno lungaggini e tempi certi per l'approvazione delle leggi.

Più poteri al governo
È l’aspetto più dibattuto delle riforme, nonostante sia largamente condivisa la necessità di rafforzare i poteri del presidente del consiglio e dell'esecutivo. Alla fine della scorsa legislatura erano state individuate quattro possibili modifiche all'assetto attuale.
Primo: procedure più rapide per fare approvare i disegni di legge del governo, che potrà chiedere di iscriverli con priorità all'ordine del giorno della Camera e di farli votare entro una certa data.

Secondo: queste corsie preferenziali saranno bilanciate da maggiori limiti nella decretazione d'urgenza (escluse le disposizioni previste da decreti bocciati, le norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale, le deleghe legislative e l'attribuzione di poteri regolamentari in materie disciplinate dalla legge).



Terzo: il premier potrà non solo proporre al capo dello stato i nomi dei ministri ma anche la loro revoca. Quarto: sarà più difficile mandare a casa l'esecutivo in carica, in quanto la mozione di sfiducia dovrà essere chiesta da un terzo della Camera (oggi basta un decimo) e votata dalla maggioranza assoluta dei componenti.

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