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Da Io e Caterina al robot senza volto, quarant’anni di sogni e ribellioni domestiche

Dalle sale del cinema alla realtà, perché amiamo e temiamo così tanto i robot?

Da Io e Caterina al robot senza volto, quarant’anni di sogni e ribellioni domestiche

Il primo robot domestico che ricordo non è entrato a casa mia, è entrato in un cinema. Era il 1980, avevo dieci anni, in mezzo ai miei genitori, seduto su quelle poltrone di velluto color bordeaux che sapevano di polvere e caramelle Rossana, davanti allo schermo in cui Alberto Sordi portava a casa Caterina, la domestica perfetta: cucina, stira, non si stanca mai, sorride sempre e non fa mai la faccia da “poi ti parlo in cucina” che conoscevo bene nelle domestiche e baby sitter in carne e ossa.

Tuttavia Caterina, vi ricordate? Programmata per obbedire, a un certo punto cominciava a fare domande, diventava gelosa, pretendeva attenzioni come una vera donna (e il protagonista, Sordi, voleva liberarsi dalle donne perché diventate insopportabili, chissà se lo hanno visto le femministe di oggi quel film, se l’hanno messo all’indice). Insomma Albertone, come ogni padrone convinto di comandare, finiva con il difendersi dal suo stesso acquisto.

In realtà Caterina non era il primo robot “di casa” della storia del cinema, era solo il primo che ho conosciuto io. Prima di lei c’erano già state domestiche e macchine troppo autonome per la loro utilità. Nel 1927, in Metropolis, la Maschinenmensch non serviva pasti: si infiltrava tra gli operai per incendiare la rivolta (prima ribellione sociale di un androide). Negli anni Cinquanta, con la fantascienza da drive-in, arrivavano i robot-maggiordomo e i computer di bordo che prendevano decisioni per conto loro, da Forbidden Planet, con il servizievole benché inquietante Robby, a HAL 9000 in 2001: Odissea nello spazio che, pur non essendo un robot con braccia e gambe, si occupava di tutto a bordo e decideva di fare piazza pulita dell’equipaggio. Persino in TV, negli anni Sessanta, la domestica robotica Rosie de I pronipoti (The Jetsons) era la versione comica della stessa idea: servizievole sì, ma con una personalità fin troppo spiccata per essere un elettrodomestico.

Per anni Caterina è rimasta nella mia testa come un ricordo cinematografico più che un presagio tecnologico. Negli anni Ottanta e Novanta a casa nostra al massimo entravano elettrodomestici con qualche spia luminosa in più, non certo domestiche in alluminio cromato (e i primi computer, lo Spectrum, il Commodore 64...).

Nel 1977, in America, la “casa intelligente” di Demon Seed imprigionava la padrona e decideva persino di mettere al mondo un figlio (un’anticipazione inquietante di Alexa in versione ostetrica). Nel 1984, con Runaway, Michael Crichton mostrava robot di servizio che impazzivano a causa di un sabotaggio criminale, trasformando maggiordomi meccanici in potenziali assassini. E nel 1999 persino la Disney con Smart House ci metteva in guardia: un’IA domestica che inizia come tata affettuosa e finisce come madre ossessiva, chiudendo la famiglia dentro “per il loro bene”.

Entrando nei Duemila i robot di casa hanno iniziato a cambiare faccia: erano più eleganti e più umani ma non meno inquietanti. Nel 2004, I, Robot ci raccontava di maggiordomi androidi programmati per servire l’umanità che, su ordine dell’IA centrale, decidevano di proteggerci rinchiudendoci in casa (un lockdown ante litteram, senza bisogno di decreti). Nel 2014, con Ex Machina, l’assistente perfetta non solo serviva il padrone, ma lo studiava, lo manipolava, lo uccideva e se ne andava fuori a vivere la sua vita. Intanto in TV, Humans e Better Than Us facevano un passo più intimo: robot-badanti e colf che sviluppavano coscienza e si ribellavano a mariti violenti e scappavano con i bambini a cui facevano da babysitter. Erano ribellioni meno spettacolari, forse più fastidiose, perché avvenivano dentro salotti uguali ai nostri.

E oggi? Oggi cominciano a arrivare robot domestici veri, ancora pochi, li vediamo sui social, nelle presentazioni ufficiali su Youtube, abbastanza da farci capire che Caterina non è più solo un ricordo di celluloide. Penso al Tesla Bot, per esempio: un corpo umanoide senza volto, con un display nero al posto della faccia. Strano però: dal punto di vista delle neuroscienze non avere un volto non è rassicurante (è il motivo per cui in genere si dà una faccia umana ai robot, anche se non ne hanno bisogno). Come spiega Giorgio Vallortigara, il nostro cervello è programmato fin dalla nascita per riconoscere la configurazione di occhi e bocca insieme, e provare una forma di immediata familiarità; se mancano o se restano solo occhi isolati o una bocca isolata, il meccanismo di riconoscimento non scatta e subentra una percezione di estraneità. È il contrario dell’empatia, non ti puoi fidare perché non puoi leggerlo (e nel dubbio, il tuo sistema limbico comincia a prepararsi alla fuga).

In tempi recenti sono arrivati quelli che travestono la ribellione da protezione. Era il 2022 quando è arrivata M3GAN, una bambola androide che per prendersi cura di una bambina iniziava a eliminare cani, bulli e parenti indesiderati con lo stesso zelo con cui un tempo avrebbe sistemato i giocattoli. Due anni dopo, Subservience con Megan Fox (l’ho visto ieri) prendeva lo stesso schema e lo aggiornava alla ginoide da copertina: assunta per assistere la famiglia, diventava gelosa della moglie e cominciava a fare “pulizie” in senso lato, cioè far sparire rivali umani (siamo sempre alla versione aggiornata di Io e Caterina comunque). Persino nei cartoni di Love, Death & Robots, un aspirapolvere automatico decideva che il modo migliore per servire la padrona era farla fuori, segno che ormai il cliché è talmente consolidato che ci si può ridere sopra (finché non ti accorgi che il tuo Roomba o come cavolo si chiama sta girando un po’ troppo vicino alle tue caviglie).

Insomma, mi domando: perché li amiamo e li temiamo così tanto, questi robot di casa? Forse perché, anche senza averne uno come Caterina, abbiamo l’idea che ci somiglierebbero troppo, che prenderebbero le nostre stesse manie, le nostre gelosie, il nostro bisogno di avere ragione, e prima o poi si stancherebbero di fare quello che vogliamo noi, e però al contempo li vogliamo come noi, meglio di noi (ormai tutti chiedono tutto a ChatGPT, figuriamoci a un robot umanoide). Forse non succederà mai, e se succedesse sarebbe proprio come la prima volta al cinema, io e i miei genitori, con Caterina sullo schermo che non obbedisce più e la sensazione che il problema non sia mai stato lei.

Ovviamente, appena ci saranno, e se saranno per me accessibili economicamente, sarò tra i primi a prendermi un robot domestico, e lo chiamerò ovviamente Caterina. Se si ribellerà pace, sarà sicuramente meglio degli umani con cui ho a che fare e che non mi obbediscono mai.

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