In Italia la Fiat è sempre stata il punto di riferimento dellindustria e delleconomia. Un gruppo italiano, prima di tutto. L«anomalia», per le abitudini consolidate nel tempo, Sergio Marchionne, in pochi anni ha cambiato il volto allazienda. E non si tratta soltanto di aver imposto la legge dellaustero pullover nero al posto della giacca e della cravatta. Marchionne ha stravolto gli schemi dentro e fuori la Fiat, ha portato gli Agnelli a controllare la Chrysler, ha diviso in due il gruppo, ha liquidato in quattro e quattrotto la Confindustria.
E ora, che è scattata la fase dellinternazionalizzazione, lo attende il non facile compito di far digerire al Paese il nuovo volto del Lingotto, quello di una multinazionale e di un gruppo automobilistico che non si chiama più Fiat o Chrysler, bensí Fiat-Chrysler.
Da qui il suo commento laconico («trimestre soddisfacente, nonostante la difficile situazione dellEuropa») in quanto, nella sua visione (e in quella dellazionista John Elkann), le considerazioni devono essere fatte a livello globale e non più sui singoli marchi. Non è un caso che lo stesso amministratore delegato abbia sottolineato «il significativo contributo della Chrysler» al risultato del primo trimestre. E per fortuna che cè la casa di Auburn Hills con i suoi dati eccellenti in Nordamerica a tenere a galla la Fiat. E lo stesso vale per il peso che il Lingotto ha conquistato in America Latina. Senza lalleanza italo-americana e senza i risultati del Brasile, cè da chiedersi quale sconquasso la crisi che attanaglia lEuropa avrebbe causato alla Fiat.
Stesso discorso per Fiat Industrial, dove i trattori e le macchine movimento terra di Cnh hanno ampiamente compensato le difficoltà incontrate dai camion Iveco ancora una volta sul mercato europeo. Ciò non toglie lesistenza di una serie di problemi, visto che nella martoriata Europa ci sono costruttori che vanno a 200 allora (Hyundai, Kia, Volkswagen, Land Rover).
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