Giro di boa generazionale alla Granarolo, aratro, mercato e guanti bianchi. Cincinnato docet: oltre otto milioni di litri di latte fresco lavorato ogni giorno per 11 milioni di famiglie italiane, in quella che è la terza filiera più efficiente d'Europa. E i Cincinnati sono gli oltre mille soci produttori di una delle più vaste realtà cooperative del continente. Che a fine maggio hanno scelto come loro presidente Gianpiero Calzolari. Senza però modificare la connotazione «politica» del latte Granarolo, da sempre considerata potente feudo della sinistra in Emilia Romagna, una delle poche regioni dove ancora conta qualcosa. Per decenni grande stratega delle cooperative «rosse», dove ha lavorato fin dall'università, ex sindaco diessino di Monzuno, Calzolari scandalizzò tutti quando proclamò all'ultima assemblea dei presidenti delle cooperative «non chiamateci più rossi non lo siamo più».
Vorrebbe essere uomo da «nuovo corso», dunque, benché allevato alla scuola del grande scalatore di sinistra Luciano Sita (è stato suo vice per anni) al tempo della crisi Parmalat, che rilanciò Granarolo in difficoltà. Non a caso oggi Sita è il nuovo assessore alle attività produttive e turismo della neo-giunta bolognese di Flavio Delbono. Sita balzò alla cronaca quando tentò di acquisire il gruppo di Parma. E durante la sua presidenza sono state ben 19 le operazioni di merger&acquisition, realizzate dal 1991 a oggi, tutte accompagnate da un meticoloso lavoro svolto insieme alla controllante Granlatte (77%) guidata proprio da Calzolari. E uno dei meriti attribuiti a Sita (e per ricaduta a Calzolari) è proprio quello di aver tenuto insieme le due anime politiche del gruppo: quella «rossa» delle imprese cooperative emiliane e quella «bianca» degli allevatori del Sud e del Nord fedeli alla Lega di Bossi e all'ex ministro all'Agricoltura Alemanno.
Ma toccherà ora a Calzolari, proprio nel momento in cui la Lega cresce forte anche in Emilia, dirigere uno dei principali gruppi alimentari italiani, con 993 milioni di euro di fatturato nel 2008, al 4º posto (dopo Barilla, Ferrero e Parmalat) tra le imprese del «food & beverage» tutte italiane nella grande distribuzione. L'ultima trimestrale nota del gruppo, quella di fine marzo, si è chiusa con un ebitda (margine operativo lordo) in crescita del 10% e un risultato prima delle imposte di 8 milioni. E tra le grandi sfide di Calzolari ci sono proprio i numeri di bilancio della Granarolo: «Siamo in netto miglioramento ed espansione. Il 2008 ha chiuso con ricavi consolidati per 993 milioni e indicatori reddituali in netta crescita. Il bilancio del gruppo si è chiuso nel 2008 in sostanziale pareggio (+1,1 milioni) sceso a meno 7,7 milioni dopo le tasse, ancora influenzato dalle ristrutturazioni industriali. Nel 2007 con 960 milioni di fatturato e un risultato negativo di 16 milioni (31 dopo le tasse) abbiamo incassato tutte le difficoltà dell'acquisizione Yomo alle quali s'è sommato l'aumento dei prezzi delle materie prime saliti di 28 milioni rispetto all'esercizio del 2006».
Calzolari accumula tre pesanti cariche, presidente di Granarolo, di Granlatte e della Legacoop di Bologna e ha una sua chiara filosofia. «Fare sistema, tornare alla terra e alla qualità, premiare la filiera nazionale alimentare, imporre a livello europeo e nel mondo un modello italiano agricolo ricco di tradizioni secolari, capace di produzioni insuperabili. O lo facciamo o saremo tagliati fuori dalle troppe incursioni straniere. In Italia abbiamo trascurato la grande distribuzione e ne paghiamo le conseguenze. Prendiamo l'olio. Se escludiamo gruppi come Carapelli, non abbiamo grandi player e così spagnoli e greci ci danno scacco. L'operazione Galbani acquisita da Lactalis è un altro esempio. Se non avessimo messo noi le mani su Yomo oggi non giocheremmo da player nello yogurt. In Italia si è assistita l'agricoltura senza pretendere uno sviluppo competitivo delle diverse filiere». Nuove iniziative? «Nel 2009 nei formaggi molli per diventare i primi operatori nel settore caseario. Altro punto, la difesa dall'aggressione delle private label. Nel 2008 la grande distribuzione, con la devastante politica dei prodotti civetta - latte e parmigiano - a prezzi stracciati, anche 0,90 centesimi al litro, ci ha dato molto fastidio. Tattiche per attirare clienti. I grandi gruppi si fanno marchi propri e in un anno hanno toccato anche quote significative, del 20%. In futuro possono arrivare anche al 30%.
In Italia mancano precise norme». Le sfide del futuro? «Il mondo sta cambiando dopo la crisi.
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