Provate a immaginare il capo di un esecutivo che congela per due anni gli stipendi dei funzionari pubblici e non nasconde l’intenzione di estendere il provvedimento per altri otto. Totale: dieci anni. Quello stesso leader, un paio di giorni dopo, porta in Parlamento una riforma che prevede l’aumento dell’età pensionistica, l’incremento delle tasse e il taglio dei sussidi pari a un costo medio di 1.700 dollari annuali per ogni contribuente.
In Europa lo prenderebbero per un kamikaze. E di certo non avrebbe di fronte a sé un grande avvenire. Da noi, infatti, chi tocca la funzione pubblica muore. O quasi. Sarkozy ha dovuto sopportare sei giornate di sciopero e altrettante adunate oceaniche nelle strade di Parigi, prima di incamerare il sì a una riforma che alza di due anni l’età del pensionamento dei dipendenti statali, che, come già accade nel settore privato, protranno ritirarsi solo al compimento del 62esimo anno di vita. In Spagna, il socialista Zapatero rischia di essere travolto dalla piazza. In Italia Berlusconi e la Gelmini hanno voluto riformare l’Università e abbiamo visto cos’é successo.
Quel leader «kamikaze» non é ipotetico. Esiste per davvero, ma non é europeo, bensì americano. E non é certo di destra, ma di sinistra liberal. E’ un po’ in disgrazia, d’accordo; però fino a pochi mesi fa faceva sognare, da una parte e dall’altra dell’Atlantico. Lo avete capito: si chiama Barack Obama e quelle riforme le sta facendo sul serio.
L’altro giorno ha chiesto ai due milioni di dipendenti pubblici federali di accantonare gli scatti in busta paga. Il deficit americano, come noto, é esploso e per tentare perlomeno di contenerlo, «tutti devono fare sacrifici». Anche chi lavora per lo Stato. Non sono in gioco cifre piccole: il congelamento permetterebbe di risparmiare 2 miliardi di dollari solo nel 2011 e 60 nei prossimi dieci.
Un sacrificio doloroso, che, però, negli Stati Uniti é stato accolto serenamente. Nessun titolo drammatico sui giornali, nessuna manifestazione di protesta, nemmeno una minaccia di sciopero. Polemiche zero.
Sia chiaro: paragonare la democrazia e le tradizioni civiche europee con quelle americane non ha molto senso. Ed é puerile sostenere, come fanno alcuni, che dovremmo «imitare» i nostri cugini d’Oltre Oceano. La democrazia americana non é certo esente da difetti, alcuni dei quali colossali. Vedi l’enorme influenza delle lobby sul governo e sul Congresso, che si traduce in una corruzione diffusa, benché impalpabile. Vedi un sistema giudiziario che da tempo non é più indipendente. Vedi un sistema economico che spinge all’accumulo di debiti anziché di capitali e in cui non esiste tasso di usura.
L’America, la vera America, non quella retorica continuamente esaltata da Hollywood, non é più esemplare e non può dare lezioni a noi europei. Però conserva una virtù. Anzi, due: i cittadini rispettano le leggi approvate da un Parlamento e i suoi funzionari pubblici non si considerano una casta e non pretendono privilegi rispetto ai privati. Sono cittadini. Come gli altri. Punto. E se c’é da tirare la cinghia, la tirano.
Anche a loro capita di scendere in piazza, ma per ragioni diverse rispetto ai loro omologhi europei. Pur essendo materialisti, gli americani manifestano per ragioni politiche, ideologiche, talvolta etiche come dimostrano la protesta dei Tea Party o le marce dei neri o i movimenti pro o contro aborto. Per motivi di cassetta, mai.
In Italia accade l’opposto. Sono tantissimi anche da noi, 3,4 milioni, pari a circa il 5% della popolazione; in cifre assolute più degli americani, che, perlomeno a livello federale, sono due milioni. Ma in Italia, come peraltro in Francia, dove sono addirittura 5,2 milioni, il furore é prevalentemente materialista. Del grande slancio ideale degli anni Sessanta-Settanta non é rimasto nulla.
Obama congela gli stipendi, da noi, quasi sempre, si congela il buon senso.
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