C'erano tutti il 27 febbraio all'hotel Jefferson di Washington. C'era George W. Bush, c'era Condoleezza Rice, c'era Dan Bartlett, c'era Stephen Hadley, c'era Dana Perino, c'era Karl Rove. Mezza Casa Bianca dell'era Bush: a porte chiuse, senza telecamere, senza giornalisti. Senza Dick Cheney, anche. Perché lui era a casa, in Virginia a smaltire a letto i postumi dell'ultimo infarto. Il presidente l'aveva visto il giorno precedente, per la prima volta dalla fine del mandato. Indiscrezioni zero. Nessuno sa che cosa si siano detti in quella stanza del Jefferson. Non conta neanche. Forse era solo un segnale, la conferma di una suggestione che gira insistentemente, di un fenomeno che era una voce e adesso è qualcosa di più, la certificazione di una sensazione che la politica Usa prova da qualche tempo: il ritorno dei bushiani. Tutti insieme quel giorno e uno per uno nel resto del tempo. Ammesso che fossero spariti davvero, oggi timbrano di nuovo il cartellino della presenza. Libri, interviste, consulenze, lavori dietro le quinte. Poi all'improvviso l'appuntamento. Quello del 27 febbraio, senza che ci fosse un motivo, senza che ci fosse una commemorazione.
Un incontro annunciato senza dettagli solo qualche giorno prima. Un ritorno collettivo a pochi passi dalla Casa Bianca, una riunione a metà tra l'appuntamento politico e il ritrovo di un gruppo di amici. L'importante era far capire di esserci: c'è un pezzo d'America che rimpiange e un altro che forse ha nostalgia. Il bushismo non è finito, ha solo cambiato temporaneamente indirizzo. Ha girato intorno un po' per tornare a Washington. Così adesso gli Usa raccontano il ritorno di un gruppo di uomini e donne che hanno goduto di pessima stampa più per pregiudizio che per altro. Ritornano ognuno per i fatti propri eppure tutti nello stesso posto. Karl Rove non è mai scomparso: da quando ha lasciato la Casa Bianca continua a fare il consulente politico e l'analista per Fox News. Eppure adesso è diverso: è appena uscito il suo libro di memorie dell'era bushiana alla Casa Bianca, così l'Architetto del presidente è diventato di nuovo una notizia. Il libro è uscito martedì scorso, trascinandosi l'attesa riservata ai best-seller: per mesi, i giornali e le tv hanno fatto a gara per ottenere un'anticipazione o le bozze. Le ha ottenute solo l'Associated press nel weekend precedente all'uscita. Da martedì Rove è ovunque. Racconta, parla, ricorda. Ogni frase una notizia. L'ultima la rivendicazione del waterbording: «Non è una tortura, sono orgoglioso che l'amministrazione Bush l'abbia usato contro i terroristi».
Nel suo libro Rove parla del suo presidente come di un uomo che sarà giudicato dalla storia. E sarà giudicato bene. È quello che pensano tutti quelli del suo team, tranne forse Dick Cheney. Anche lui sta preparando un libro di memorie e gli spifferi dicono che non sarà una carezza per il presidente. Ma non fa solo questo, Cheney. Sta lavorando all'apertura di uno studio di consulenza politica con le due figlie, Mary e Liz. Cheney, Cheney and Cheney, come l'ha chiamato ironicamente qualcuno, oppure Cheney al cubo, come l'ha definito la stampa liberal che non ha ancora smesso di detestare l'ex vicepresidente. L'idea di Dick non sarebbe quella di un ritorno personale: non glielo permette il cuore e neanche l'età. Starebbe pensando al lancio della carriera politica di Liz, ex assistente segretario di Stato dell'amministrazione Bush, tornata di recente alla ribalta tra i critici della politica estera del presidente Barack Obama.
Uno studio di consulenza è anche il nuovo lavoro di Condoleezza Rice. L'ha aperto con l'ex consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley. Bushiano anche lui, ovviamente. La Rice ha ripreso anche a insegnare a Stanford e come Rove ha pubblicato un libro di memorie. È così che si ritorna. Lo ha fatto anche capo del tesoro Henry Hank Paulson, che ovviamente ha raccontato la sua versione della crisi finanziaria della quale troppi gli hanno dato la colpa. Un libro è anche la certificazione del ritorno di Donald Rumsfeld. Uscirà prima delle elezioni di metà mandato, cioè nel prossimo autunno. L'ex capo del Pentagono promette di raccontare candidamente il cammino dell'America verso la guerra in Irak. La sua guerra, quella della quale gli Usa oggi cominciano a vedere la fine. Missione compiuta, per usare l'espressione che ha fatto criticare per troppo tempo proprio Rumsfeld. L'Irak e le memorie saranno la strada per uscire dall'anonimato nel quale i liberal hanno cercato di confinare segretario alla Difesa. Questione di paradossi.
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