Obama indossa i panni del duro: «Spazzeremo Al Qaida dallo Yemen»

Avverte i terroristi che «non la faranno franca». Ribadisce che «l’America è in guerra con Al Qaida». Nel discorso settimanale agli americani, trasmesso su YouTube, Barack Obama ha indossato i panni del duro o perlomeno ci ha provato. In realtà il ruolo non gli si addice e infatti i risultati non sono esaltanti. Il presidente che coinvolge ed emoziona quando parla di speranza e di cambiamento, appare poco convincente nel ruolo del Comandante in Capo che deve rassicurare la gente e motivare le truppe; al contrario di George Bush, il quale non era certo un gran comunicatore, ma che in questi frangenti risultava molto efficace, con frasi da cow boy, poco eleganti eppure di facile presa sul grande pubblico.
Obama per la prima volta ha affermato ufficialmente che, secondo i risultati preliminari dell’inchiesta, il terrorista nigeriano catturato sull’aereo della Delta in volo da Amsterdam a Detroit il giorno di Natale, era legato ad Al Qaida e ha avvertito i suoi complici che «non la faranno franca».
Ma per il resto è apparso sulla difensiva, frastornato dalle pesanti critiche dei repubblicani, che lo hanno accusato di essere troppo debole e ondivago. Pur senza nominarlo, ha di fatto polemizzato con l’ex vicepresidente Dick Cheney che nei giorni scorsi aveva dichiarato che il presidente non si sente in guerra contro il terrorismo. «Ho usato la parola guerra nel mio discorso inaugurale e ho affermato che farò tutto il necessario per sconfiggere chi ci odia e difendere il nostro Paese», ha ricordato il capo della Casa Bianca.
Ma è proprio questo il suo punto debole. Il sistema di prevenzione ha dimostrato di non funzionare. Il giovane Umar Farouk Abdulmuttalab era noto alla Cia ed era stato persino denunciato dal padre, eppure ha potuto imbarcarsi con un visto regolare. Obama ha promesso che adotterà provvedimenti per impedire che si ripetano sviste del genere. Le prima decisioni verranno prese con ogni probabilità già martedì prossimo, quando riunirà a Washington i capi della sicurezza, in un summit che si annuncia molto teso e che potrebbe concludersi con le dimissioni del ministro della Sicurezza interna Janet Napolitano o dello zar dell’antiterorrismo Dennis Blair.
Obama è arrabbiatissimo per il flop del 25 dicembre, ammettono a mezza voce i suoi collaboratori, tuttavia nel discorso di ieri si è sforzato di elencare le misure adottate con successo dal suo governo. Ha ricordato il ritiro delle truppe dall’Irak e il contestuale aumento di quelle in Afghanistan impegnate contro i talebani. Si è soffermato a lungo proprio sulla situazione nello Yemen, «uno Stato in preda a una grande povertà e sanguinose insurrezioni», che sta cooperando con Washington nella lotta ad Al Qaida. «Anche prima di Natale abbiamo visto i risultati di questa alleanza. Sono stati distrutti campi di allenamento, eliminati leader, sventati complotti», ha ricordato Barack.
Eppure l’intelligence non è stata in grado di fermare il ragazzo nigeriano di buona famiglia, convertito all’islam fondamentalista. Per questo a Washington in queste ore si respira un clima di grande nervosismo. Una fonte, naturalmente anonima, ha passato al settimanale Newsweek un documento da cui risulta che tre giorni prima di Natale si è svolto alla Casa Bianca un vertice per aggiornare il presidente sulle minacce terroristiche nell’imminenza delle vacanze, tuttavia lo Yemen non è stato citato come possibile base per un’azione terroristica. Il verbale elenca nomi e qualifiche di chi ha partecipato all’incontro.

E forse proprio per questo è stato fatto filtrare alla stampa. Dietro le quinte è già iniziato lo «scaricabarile» nell’attesa che Obama decida se e quali teste tagliare, mentre il Pentagono tiene aggiornati i piani di azione. L’ipotesi di un raid punitivo è quanto mai attuale.

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