Gli occhiali rossi del comunismo

«I dirigenti comunisti, spregiudicati ed esperti, hanno affermato e diffuso in tempi lunghi e a ritmo costante l’immagine di un partito ben organizzato, governato da un’autorità illuminata e moderata, di una macchina elettorale pesante ma capace di movimenti rapidi e agili, di un partito marxista lontano dal buio dogmatico del marxismo-leninismo russo e vicino ai gruppi più sofisticati e moderati della sinistra occidentale». Franco Andreucci, docente di Storia contemporanea all’Università di Pisa, già membro attivo delle organizzazioni giovanili comuniste e poi del Pci dal 1960 al 1983, «compagno di strada» dell’ala riformista del partito sino al 1992, tornato ad occuparsi del Pci, offre con il volume oggi in libreria (Falce e martello, Bonomia University Press), un eccellente contributo per scomporre questa identità a molte facce e sottoporla a rigorosa e viva ricognizione.
Qual è infatti la genesi antica e recentissima di questa tradizione? Quali i concetti della sua durata nel tempo? Quali gli elementi «di diversità, disciplina, svolta e doppiezza» che l’hanno dominata e fatta vivere sinora? Il tema, assai attuale, viene trattato con ammirevole obiettività e apertura anche sui passaggi che il comunismo di ieri e di oggi tende a dimenticare.
Franco Andreucci fu letteralmente lapidato dagli insulti e da ritorsioni accademiche all’epoca della «disgraziata vicenda» della lettera a Togliatti sui prigionieri italiani in Russia, spietata condanna all’annullamento decretata dal segretario comunista. Fu lo storico a pagarne le conseguenze e non Togliatti, che pure era stato inchiodato da un’efferatezza senza limiti in una lettera d’epoca scritta dopo la guerra al dirigente del Komintern Vincenzo Bianco. Questa è appunto una conferma del sistema comunista che, manipolando un dettaglio poco significativo, rovescia il segno di tutta una verità più grave e completa. È nella identità e nella metodologia del comunismo militante condannare senza prove, giudicare senza riferimenti.
«Nel 1931 quando un anarchico viene arrestato in Russia sotto l’accusa di essere un terrorista, alcuni membri del partito chiedono “le prove”». «Per noi che siamo comunisti, il problema delle prove non esiste. Il vero problema è quello dell’appoggio incondizionato da darsi alla dittatura proletaria». Tutta la storiografia del marxismo comunista è devastata da questa mutilazione, inficiata da questi silenzi. La stessa ricerca delle origini viene selezionata da questa griglia separatista, i nomi accettati essendo scelti in una linea di «continuità» e convertibilità. Nel 1935, alla celebrazione del 70º compleanno di Andrea Marabini, Togliatti cita Andrea Costa, Camillo Prampolini, espelle Turati, il riformista, come «socialfascista», e costruisce un pantheon ideale e aperto solo a coloro dei quali i comunisti possono essere «i continuatori».
La perfetta corrispondenza con Stalin, non fu per Togliatti e per il «suo» partito solo una scelta pratica, ma una coincidenza perfetta di senso e di cultura determinata dai tempi e dai motivi ideologici. Credo non vi sia nelle ideologie moderne «assassine», una simile corrispondenza di tale profondità. E questo risponde ai perché posti da Andreucci e da lui sottolineati, di un grave «ritardo», una mancanza di «coraggio» e di «decisione» nel guidare i percorsi, minoritari, di «autonomia e di rottura con l’Unione Sovietica» che a mio parere non sono mai avvenuti. Ma possono e vogliono i comunisti davvero uscirne? La socialdemocrazia, con la quale negli anni ’60 e ’70 il Pci era costantemente comparato, esiste ancora, il Muro di Berlino è rovinosamente caduto anche se ha lasciato ingombranti macerie. Qual è allora il motivo di tanta remora? Il comunismo è l’alternativa anche della socialdemocrazia, non solo una dose sbagliata di socialismo, ma una medicina radicalmente errata.

Lo stalinismo è un eccesso pianificato di crudeltà sistematica, vi manca il rispetto per l’uomo, vi è l’uso organizzato del Terrore di robespierriana memoria.
Senza il secolo dei Lumi, non vi sarebbero Lenin e Stalin, senza Trotskij e Bucharin non vi sarebbero la socialdemocrazia moderna e Bad Godesberg.

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