Ok all’etichetta obbligatoria per tutelare il Made in Italy

È una svolta epocale. A tutela di chi in Italia non solo vive, ma produce e che fino a ieri era in balia di norme che permettevano ai grandi marchi di fabbricare i loro vestiti, le loro scarpe, le loro borse in Cina, Vietnam o India per poi rivenderli in giro per il mondo con il marchio Made in Italy.
Tra qualche mese tutto questo non sarà più possibile. Ieri il Senato ha approvato il disegno di legge che era già stato votato alla Camera prima di Natale. Un testo che in questi tre mesi le lobby hanno cercato dapprima di insabbiare, come denunciato dal Giornale in gennaio, e poi di snaturare, presentando ben 50 emendamenti. Inutilmente: sono stati tutti respinti, tranne due; uno che p\recisa le sanzioni a carico delle dogane, l’altro che fissa a ottobre l’entrata in vigore della legge per ottenere anche il via libera alla Ue. Dettagli, che richiederanno un ultimo voto alla Camera, peraltro scontato, perché per una volta la politica ha ascoltato il Paese reale. In dicembre l’assemblea di Montecitorio votò il provvedimento all’unanimità e all’unanimità la commissione deliberante del Senato si è espressa ieri.
Un segnale di speranza per il Paese e di fiducia nell’Italia migliore, quella dei piccoli e medi imprenditori. Una vicenda che premia la tenacia di un uomo che in luglio nessuno conosceva, e che ora è diventato un piccolo, grande eroe del nostro tempo: Roberto Belloli, imprenditore di Busto Arsizio, che l’estate scorsa creò il movimento dei contadini del tessile, chiedendo l’approvazione di una legge che consentisse solo a chi fabbrica in Italia di poter usare il marchio Made in Italy.
Belloli guidava una manciata di imprenditori, arrabbiati e frustrati. Un manipolo di idealisti a cui nessuno prestò ascolto. Nessuno tranne un giovane deputato leghista, Marco Reguzzoni, che decise di sposare la causa e di presentare il testo in Parlamento, con il sostegno di Santo Versace, del Pdl. Quella legge è soprattutto sua. «È una vittoria per i consumatori, che da ora in avanti potranno sapere la provenienza dei capi, e per le piccole aziende», dichiara Reguzzoni. E Belloli chiosa, al Giornale: «Finalmente qualcuno ha capito. Il voto apre scenari insperati, non solo nel tessile. E non solo in Italia».
Già, anche la Francia si sta muovendo nella stessa direzione e l’Europarlamento sta per approvare una norma dai contenuti molto simili a quelli italiani. Per quanto incredibile, l’Unione europea è l’unico protagonista economico che, in piena globalizzazione, non ha ancora previsto norme a tutela della propria industria. Una lacuna che sta per essere colmata.
I termini della legge sono chiari: solo il produttore del tessile, della pelletteria e del calzaturiero che effettua la maggior parte delle fasi di lavorazione nel nostro Paese, può vantare il marchio Made in Italy. Diventa obbligatoria l’etichettatura con la tracciabilità.

Sono previste sanzioni amministrative per chi omette i controlli, che diventano penali in caso di reiterazione del reato, mentre le aziende che sgarrano rischiano la sospensione dell’attività.
Una legge severa, ma che per una volta soddisfa tutti, maggioranza e opposizione. Perché tutela, finalmente, i piccoli contro le furbizie dei grandi.
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