Omicidio Salomone I tanti misteri dell’ultimo boss della Magliana

Omicidio Salomone: 20 anni di misteri all’ombra della Magliana. E non solo. L’ennesimo morto ucciso sul litorale rimette in gioco indagini inspiegabilmente bloccate, come quella sull’esecuzione di Paolo Frau. Nonostante la loro amicizia, sarebbe stato Salomone, secondo la questura, il mandante. Peccato che la pista indicata dalla Procura portava in centro America. Fermati con gli ordini di cattura alla mano, i poliziotti incaricati di eseguire gli arresti per l’omicidio vengono trasferiti. I loro colleghi, intanto, ammanettano Salomone, almeno per un giorno. Estradato dalla Danimarca, viene rimesso in libertà per insufficienza di prove. Un clamoroso errore investigativo? Non la pensa così il gip Oreste Villoni che, nel decreto di archiviazione nei confronti dei 5 poliziotti trasferiti, accusati nel frattempo di aver sperperato denaro in missioni, parla di «complotto» dalle trame oscure. Una storia degna di un film quella di Salomone.
Ad ammazzarlo ci avevano già provato nel marzo ’91. Ci riescono l’altra sera, sempre ad Acilia, con due colpi di pistola esplosi a bruciapelo. A raccontare la dinamica del primo agguato fallito al «padrino», che non dormiva mai due notti nello stesso posto, ci pensa un pentito eccellente, Raul Riva, fratello di Gianluca, trucidato in via dei Pescatori nel ’96. Killer e mandanti mai individuati. Spiega Riva al pm antimafia Andrea De Gasperis: «L’azione viene studiata davanti a un piatto di spaghetti al ristorante (…) di Ostia Antica. Decidiamo di eliminare Salomone e Vittorio Carnovale perché erano ingordi. Avevano estorto milioni a un certo Caprotto e se li erano spartiti fra di loro». Ad affiancare la Saab di Pietro Sante Corsello con a bordo Salomone, Carnovale, Dante Del Santo e Alessio Gozzani l’auto di Addis con 4 persone. All’altezza della via del Mare spuntano una 38 special e un revolver 357 magnum. I proiettili centrano Corsello in pieno volto. I killer fuggono verso l’aeroporto. Le armi finiscono nel Tevere, lanciate dal ponte della Scafa. Salomone e gli altri abbandonano il cadavere sotto il ponticello di via di Ponte Ladrone. Paradossalmente lo stesso Salomone viene accusato di essere stato lui a «portare a dama» la vittima.
È il primo grave errore giudiziario nella rocambolesca vita del boss. Giudicato estraneo all’omicidio, Emidio esce dal carcere assieme a Vittorio Carnovale, continuando a giocare un ruolo di spicco nella distribuzione in quantità di hashish e cocaina. Sette anni dopo, grazie solo alle rivelazioni di Riva, inizia il processo Corsello. Le armi non vengono trovate: non luogo a procedere per tutti gli accusati.
Nel frattempo è il giudice Otello Lupacchini, nel ’93, a spiccare il mandato di cattura per Salomone e company: associazione a delinquere di stampo mafioso assieme al resto della Magliana. Emidio non si fa trovare. Scompare per anni, il tempo di farsi cambiare i connotati da un chirurgo plastico in Brasile e tornare in Italia.

Per acciuffarlo, nel ’96, i carabinieri seguono moglie e figli fino a Vico nel Lazio. Torna in libertà nel 2000. Due anni dopo a Ostia esplode una nuova guerra. Nel mirino c’è Frau, uno dei vecchi della mala romana. L’altra sera tocca a Salomone.

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