Onora il padre (e le sorelle) Bellocchio l’incendiario fa la pace con la famiglia

Il regista è tornato nella natia Bobbio per seppellire la ribellione sessantottesca dei suoi "Pugni in tasca"

Onora il padre (e le sorelle) Bellocchio l’incendiario fa la pace con la famiglia

Claudio Siniscalchi 

Si nasce incendiari, si muore pompieri. Detto francese sempre valido. Prendiamo l’ultimo film di Marco Bellocchio Sorelle Mai. Il regista per eccellenza della «rivoluzione», lo sterminatore della «famiglia», sembra proprio essersi ricreduto. L’esordiente Marco Bellocchio nel 1965 portava in scena le insopprimibili aspettative del Sessantotto, nel film-manifesto I pugni in tasca, interpretato con allucinata ferocia e precisione da Lou Castel. Girato nell’estrema povertà di Bobbio, provincia montana piacentina, narra di una famiglia borghese, orrida e malata, massacrata da un suo giovane componente. I pugni in tasca divenne opera di culto per la generazione della contestazione, e Bellocchio proseguì sulla stessa onda, sfornando opere in sintonia con la marea montante rivoluzionaria. Seguirono La Cina è vicina (1967), Nel nome del padre (1972), Sbatti il mostro in prima pagina (1972), Marcia trionfale (1976). Poi Bellocchio si lasciò sedurre dalle sirene della psicoanalisi. Una seconda vita, dal libretto rosso di Mao al poco ortodosso analista Massimo Fagioli. Dalle granitiche certezze della lotta politica all’universo inquieto e confuso della psiche. Il tempo trascorre. E le nefandezze della famiglia borghese, col passare degli anni, si attenuano. Anzi, in Sorelle Mai si rovesciano.

L’eterogenesi dei fini: la stramaledetta famiglia da assassinare della gioventù, diventa il prezioso bene rifugio quando le ombre della vita iniziano a calare. Nel nuovo film siamo ancora nella montanara Bobbio, tra vecchie zie, nipoti, fratelli in lotta, madri in cerca di improbabili fortune teatrali che sottraggono amore alle figlie. Bellocchio dal bianco e nero povero de I pugni in tasca è tornato alla povertà del film amatoriale. Difatti i protagonisti sono i famigliari di Bellocchio, figli e sorelle. Nel corso del tempo, dal 1999 al 2008, il settantaduenne regista natio di Bobbio ha rubato delle immagini alla vita dei parenti. In Sorelle Mai ritroviamo la casa de I pugni in tasca, ma l’odio irrefrenabile e assassino, e il coltellaccio da cucina, sono spariti. Ora non si vuole più calare la mannaia sulla madre cieca, sul fratello ritardato. L’incesto è un lontano ricordo, una foto barbara riposta nella scatola dell’oblio. Il «padre» da ammazzare a tutti costi del Sessantotto, adesso che Bellocchio è «padre», e «padre» ormai consapevole di avere un piede ben dentro il letto del fiume della vita (l’amato Trebbia, che sta sempre là), nel quale ci si può bagnare soltanto una volta, non andrebbe toccato e neppure scalfito. Quei pugni che il giovane Bellocchio aveva assestato con micidiale potenza allo stomaco della famiglia, il non più giovane Bellocchio ha deciso di rimetterli in tasca. L’ascia di guerra Marco Bellocchio è tornato a seppellirla laddove l’aveva, quasi cinquant’anni fa, sottratta al sonno della terra. Il percorso è definitivamente compiuto. La disubbidienza un pallido ricordo. L’assassinio ripudiato. I figli anche se dimenticati e lasciati soli a crescere non manifestano intenzioni violente. Accettano il fatto che ogni generazione è costretta a convivere con problemi spesso difficili da comprendere, e soprattutto accettano madri e padri deboli, assenti, poco adatti al ruolo. Esseri fragili alle prese con vite e ruoli impossibili da seguire. La famiglia nel vecchio film di Bellocchio era un barattolo di conserva andato a male, pronto ad esplodere, e lanciare con potenza fiotti di materiale sanguinolento e putrido. La famiglia del nuovo film è invece il ritratto della pacificazione, il calmante del male esistenziale, la coperta per riscaldarsi nelle fredde albe della quotidianità. Anche il panorama, pur rimanendo quasi inalterato, ha mutato fisionomia, una volta era livido e minaccioso. Ora è tenue e sereno. Qualcuno potrà pensare che Bellocchio sia entrato in una fase senile. Ma è un errore. A differenza del coetaneo compagno di avventure rivoluzionarie Bernardo Bertolucci, è riuscito a lasciarsi alle spalle il fardello più pesante del Sessantotto. Bertolucci ha tagliato ogni legame con la «terra madre», passando dalla natia Parma di Prima della rivoluzione (1964), alla Parigi del nuovo cinema francese e del maoismo, per poi perdersi nell’immensità della Cina e degli Stati Uniti. Bellocchio invece ha deciso di tornare sul luogo del delitto.

Aveva commesso, in gioventù, un omicidio rituale, nella convinzione vitalistica che la storia, per cambiare, dovesse passare da un cominciamento violento. Gli eventi storici hanno preso un’altra piega, dimostrando quanto quella libertà conquistata fosse illusoria.

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