Si apre oggi al Palazzo di Vetro di New York, e durerà fino al primo ottobre, l’annuale dibattito generale dell’Assemblea Generale dell’Onu. Dietro la ripetizione un po’ ridicola si cela tuttavia un’importantissima occasione d’incontri e colloqui, ufficiali e dietro le quinte, tra gli uomini politici più potenti del pianeta. E quest’anno i temi che danno rilievo a un appuntamento che di per sé sarebbe una stanca liturgia (nessuno crede più alle «Nazioni Unite Parlamento del mondo») sono diversi. Se quello «ufficiale» è la lotta alla povertà, coi riflettori puntati come ormai purtroppo di consueto sull’Africa, pesano di fatto assai di più la crisi economica mondiale e l’ineludibile dato di fatto del crescente spazio che si ritagliano sull’arena internazionale nuovi protagonisti, come la Cina, l’India e il Brasile; per non dire della crisi nucleare che ha come protagonista l’Iran e della Russia, il cui discutibile attivismo degli ultimi tempi attira preoccupata attenzione.
Colpisce, in questo contesto, che proprio Mosca abbia scelto di inviare al Palazzo di Vetro una delegazione di basso profilo, lasciando a casa sia il presidente Medvedev che il premier Putin. Al posto dei diarchi del Cremlino si presenterà a New York il ministro degli Esteri Serghei Lavrov, già ambasciatore all’Onu: si cerca così di evitare eccessivi imbarazzi dopo il pesante trattamento riservato alla Georgia di Mikheil Saakashvili, che interverrà invece di persona.
Russi a parte, i grandi nomi ci saranno più o meno tutti. George W. Bush, per l’ultima volta; tra i principali leader europei Nicolas Sarkozy, Gordon Brown, José Luís Zapatero e Silvio Berlusconi, il cui intervento è previsto per venerdì, mentre già si sa che non si farà vedere Angela Merkel. Ci sarà invece il presidente serbo Boris Tadic, che tenterà di attirare l’attenzione sulla questione del Kosovo, ovviamente dal punto di vista di Belgrado che è quello dell’amputazione della propria sovranità territoriale.
Spicca l’assenza del venezuelano Hugo Chavez, rimasto a casa anche l’anno scorso dopo aver offeso Bush nel 2006 ironizzando sulla «puzza di zolfo» che sarebbe rimasto sul palco degli oratori dopo il suo intervento. Immancabile nel suo protagonismo provocatorio prenderà invece la parola il presidente dell’Iran Ahmadinejad, che negli ultimi giorni ha già ribadito che dei richiami dell’Agenzia atomica internazionale (che è un’emanazione dell’Onu) lui se ne fa un baffo: gruppi di iraniani all’estero hanno già inscenato una protesta a New York per ricordare che la Repubblica Islamica manda a morte perfino bambini. Ci sarà il cinese Hu Jintao, ancora fiero delle sue Olimpiadi e certamente sordo ai peraltro flebili richiami al rispetto dei diritti umani nel suo Paese e in particolare nella provincia del Tibet; mentre non ci sarà nessuno, come ormai accade da trent’anni nonostante i volenterosi tentativi di Taipei, a rappresentare i 23 milioni di cinesi di Taiwan, resi «invisibili» dalla sconfitta subita nella partita con Pechino per la rappresentanza all’Onu di un’entità che in verità non esiste dal 1949: l’«unica Cina» di cui parlano soltanto i diplomatici nel loro gergo astruso.
Tra gli osservati speciali non va dimenticato Asif Alì Zardari, presidente di quel Pakistan ormai al centro delle trame più esplosive (è il caso di dirlo) del mondo. Il vedovo di Benazir Bhutto, proiettato al potere dalla tragica scomparsa della moglie nello scorso dicembre, incontrerà separatamente tutti i grandi del pianeta da Bush in giù. Vedrà anche Hamid Karzai, presidente di quell’Afghanistan con cui condivide un confine che il riaccendersi della campagna di guerra talebano-qaidista ha reso uno dei più «caldi» della Terra. Proprio ieri gli afghani hanno proposto di sbloccare la questione degli sconfinamenti di aerei e truppe americane in Pakistan formando una forza congiunta a tre (afghano-pakistana e della coalizione) che operi a cavallo della frontiera, come fanno i terroristi.
E a proposito di Afghanistan, ieri il Consiglio di Sicurezza ha approvato all’unanimità una
risoluzione preparata dall’Italia che prevede la proroga di un anno della missione militare internazionale Isaf, in risposta alla continua «minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale» che la situazione afghana rappresenta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.