Far gli statisti con i genocidi degli altri può sembrar assai comodo. Ed assai facile. Soprattutto quando sul tavolo ci sono un'elezione presidenziale dall'esito incerto e il voto di 500mila elettori di origine armena. Ma può anche rivelarsi un pericoloso boomerang. Nicolas Sarkozy se ne sta accorgendo all'indomani del via libera dell'Assemblea Nazionale alla discussa legge che - se anche il Senato confermerà - punirà con il carcere chiunque neghi il genocidio armeno. A far capire al presidente francese quanto sia rischioso giocare con la storia nazionale altrui ci pensa il premier turco Recep Tayyip Erdogan.
Dopo aver ordinato l'immediato rientro dell'ambasciatore a Parigi, la cancellazione di ogni prossimo incontro con i rappresentanti politici francesi e il blocco di ogni collaborazione militare il presidente turco ripaga lo spregiudicato Sarkò con la stessa moneta accusando la Francia d'incitare all'odio verso i musulmani e imputandole il genocidio degli algerini. «La Francia ha massacrato a partire dal 1945 il 15 per cento della popolazione algerina questo è il vero genocidio» - dichiara un infuriato Erdogan aggiungendo che il voto «dimostra chiaramente il livello di pericolosità al cui stanno arrivando razzismo, islamofobia e discriminazione in un paese come la Francia dove vivono cinque milioni di musulmani».
Ma l'esternazione più urticante è quella riservata alla famiglia del presidente Nicolas Sarkozy. A sentir il primo ministro turco, Sarkozy padre avrebbe partecipato alla guerra d'Algeria combattendo con la Legione straniera e dovrebbe quindi aver raccontato al figlio gli orrori commessi dalle truppe francesi. L'insinuazione costringe l'anziano Sarkozy senior a presentarsi davanti alle televisioni per ricordare di aver trascorso solo quattro mesi nella Legione e di non aver mai messo piede in Algeria. Serve a poco. La stilettata di Erdogan è solo il segnale del livello a cui stanno precipitando i rapporti tra due nazioni e due leader protagonisti - fino a 48 ore prima - di relazione complesse, ma cruciali. Tra l'aspirante De Gaulle e l'apprendista sultano le cose non sono mai filate lisce. Anche perché Sarkò è da sempre uno dei principali oppositori dell'entrata di Istanbul nell'Unione Europea. Nondimeno i due sono più volte scesi a patti. Lo si è visto durante l'intervento della Nato in Libia quando l'addio di Erdogan a Gheddafi, da sempre vicino al premier turco, ha di fatto segnato la fine del rais.
Lo si stava vedendo anche nell'ambito della complessa questione siriana. Su quel fronte Istanbul e Parigi lavoravano assieme a un progetto di corridoio umanitario indicato da molti come la premessa per un nuovo intervento Nato.
Anche a livello economico i rapporti tra una Francia in recessione e una Turchia in pieno boom non sono proprio noccioline. Sul suolo turco lavorano più di mille aziende francesi e l'insieme degli scambi commerciali supera i 12 miliardi di euro. Buttare tutto alle ortiche per mezzo milione di voti non sembra proprio la scelta più illuminata. E neppure quella in grado di garantire una facile rielezione.
Il primo a rendersene conto è Sarkozy costretto, contrariamente alla sua tempra, a reagire con parole assai misurate al fuoco di sbarramento turco. «Rispetto il punto di vista degli amici turchi, sono un grande paese e una grande civiltà, ma anche loro devono rispettare il nostro - frena Sarkozy- la Francia non da lezioni, ma non è neppure disposta ad accettarne».
L'autentico imbarazzo di una Francia consapevole di aver tirato troppo la corda traspare però dalle dichiarazioni del ministro degli esteri Alain Juppe. «Certe dichiarazioni - ammette Juppe - sono state eccessive e il voto della legge sul genocidio è senza dubbio arrivato nel momento sbagliato». Come dire «scusate siam francesi, anche stavolta abbiamo esagerato».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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