La realtà è una finzione. Inventa, dai. Si prende il calcio: popolare, riconoscibile, semplice, si mettono in fila due dati e si va. Non si ragiona, non ne vale la pena, perché tanto si prende solo quello che serve. Allora vai a leggere l'Unità di ieri e scopri che il pallone è lo specchio dellItalia. Otto pagine per dirci che siamo al tramonto di un sogno, alla fine di un giro, coi conti in rovina, con i campioni che non ci sono più, con la gente che non va allo stadio, con gli altri che ci fregano: più ricchi, più belli, più forti. «L'Altare della patria», hanno scritto. Cioè in morte di un Paese e del suo rito collettivo. Ognuno la vede a modo suo e tutti hanno unidea. Solo che quella che gira è sbagliata, perché l'Unità dice che la serie A è al disastro e la colpa è di chi non spende più. «Se il Real Madrid spende in una settimana 158 milioni di euro per comprare Kakà e Cristiano Ronaldo, ne incassa 45 quella successiva dalla vendita di magliette e gadget». Ma come? Fino a due giorni fa il Real era una squadra di banditi, il berlusconismo alla spagnola, sospettata di affari loschi e di aiuti irregolari. «La fine del calcio», avevano raccontato. Adesso va bene. Ora sono imprenditori illuminati e intelligenti che sfruttano il merchandising per rientrare nei costi e guadagnarci. Giusto: il liberismo prima di tutto, perché per dire che lItalia fa schifo si può anche stare coi ricchi e abbandonare i poveri. È così che funziona: se spendiamo siamo dei volgari capitalisti innamorati di un gioco tribale e che insulta la gente con un lavoro qualunque, se invece le nostre squadre non spendono sono scarse e mal gestite. La crisi? Chissenefrega. I club avrebbero dovuto fottersene e bruciare i loro, i nostri, ultimi risparmi.
Un calcio alla storia della sinistra e anche a quella della testata. LUnità finisce nel pallone, perché nella confusione succede che invoca gli stadi di proprietà dei club e però considera una follia il tetto degli ingaggi dei calciatori. Tutto alla rovescia, pur di spacciare la propria idea per verità. Così per l'Unità lInter è il Pd: «Dopo anni di sconfitte anche brucianti cè un karma comune tra democratici e interisti: ogni vittoria è vista come passeggera». Provate a chiederlo a un interista, adesso. E vedete se si sente uno sfigato come una volta, o peggio se si sente come uno del Pd. LInter vince da quattro anni dominando, è la squadra più strutturata, più ricca, più globale della serie A. Al massimo il Pd assomiglia a una pericolante, a una squadra in lotta per la salvezza sua e di un ideale che nessuno ricorda più. Tantomeno all'Unità che accoppia il Milan al Pdl. E vabbè, ovvio. Però non con questa motivazione: «Un uomo solo al comando, così il modello rossonero alla lunga è diventato un sistema anche nel Paese». Fosse così, staremmo meglio tutti, compresi gli anti-milanisti. Perché fino a prova contraria il Milan ha vinto tutto, mentre lItalia no, il Milan è unazienda, lItalia no. Poi quelluno solo al comando questanno ha detto che bisognava risparmiare perché non era aria di spese pazze per il pallone. Cioè il contrario del Real, quindi teoricamente in linea con lidea dell'Unità. Teoricamente.
Questo è uno slalom tra lipocrisia e la menzogna: la più grande quella sulla violenza negli stadi. Perché alla sinistra non va bene la tessera del tifoso voluta da Maroni. Dicono che punisce la gente giusta e lascia stare quella sbagliata. Di più: «Le curve restano gabbie dentro cui esercitarsi in violenza e razzismo». Lanno scorso i dati hanno raccontato che feriti e danneggiamenti sono diminuiti. Sono troppi? Ok, ma non è colpa del governo. Perché allora a dirla tutta, con Prodi erano stati di più, solo che nessuno si è sognato di dargliene la colpa. Invece ora è colpa del governo: l'Unità quasi flirta con gli ultrà e dice che «sono sul piede di guerra», perché preoccupati dei costi troppo alti della card di plastica voluta dal ministro dellInterno. La serietà non abita dalle parti del quotidiano del Pd e della sua compagnia di giro che racconta anche unaltra bugia: la gente non va più allo stadio. Abbonamenti in calo, scrivono. Bisogna solo mettersi daccordo, perché non più di due settimane fa il Corriere dello Sport ha scritto il contrario, dicendo che rispetto allanno scorso sono di più. Ora bisogna vedere chi ha ragione, però quantomeno si può dire che al Corsport si occupano tutti i giorni di questa materia. L'Unità no, cerca solo un pretesto per attaccare qualcuno. Anzi uno. E poi il gioco è troppo scontato, troppo banale, troppo semplice: la gente non va allo stadio per colpa della televisione. Eccola là, la litania classica, stucchevole, passatista. Infame Sky e i suoi soldi, ma di più infame Mediaset e i soldi. «Il calcio ha perduto se stesso, ossia la sua ritualità, che è l'essenza profonda del football (...). Fermiamoci al tempo in cui la Domenica sportiva o Novantesimo minuto erano un totem». Cioè andiamo indietro, quando il calcio invece di essere più democratico era più elitario. All'Unità non piace il fatto che la tv ha regalato a tutti la possibilità di vedere la propria squadra. A tutti e soprattutto a chi è più povero: labbonamento al satellite o al digitale terrestre costa molto meno che la somma dei biglietti per lo stadio.
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