Milano E il peggio deve ancora arrivare. È questo l'incubo che da giovedì notte opprime tutto il Milan, quello legale e quello reale, stordito dalla eliminazione in coppa Uefa per merito del Werder Brema e dall'ennesima rimonta subita (da 2 a 0 a 2 a 2). A dispetto di ogni incoraggiamento inatteso (la frase di Pretrucci, presidente del Coni: «A una squadra come il Milan bisogna sempre dire bravi e grazie») e della frattura che si sta consumando tra il pubblico e gli eroi di Milanello (l'ultimo dissidio con Maldini, 168 gare europee con quella di giovedì sera, l'ultima della sua carriera). Il peggio, naturalmente, è inteso come eventuale perdita secca della terza poltrona utile per accedere alla Champions league, vitale snodo per poter contare su una fetta di milioni tale da reggere il peso finanziario del prossimo bilancio. «Senza la Champions sarebbe un cataclisma» è lo sfogo di Adriano Galliani, nelle viscere di San Siro, giovedì notte dinanzi a quella resa inattesa e inconcepibile. È il riconoscimento solenne delle colonne d'Ercole situate lungo il cammino del Milan nelle prossime settimane: o la squadra centra l'obiettivo minimo, oppure è la fine di un ciclo che non include soltanto l'allenatore, Carlo Ancelotti.
«Senza Champions andremmo tutti a casa», l'altra frase attribuita a Galliani, ieri mattina, nei vialetti di Milanello e pronunciata al cospetto di giocatori, staff tecnico, preparatori e sanitari, gli stati generali del Milan convocati di primo mattino dal vice-Berlusconi per chiedere spiegazioni sul terribile mese di febbraio disputato dal Milan e su alcuni deficit (fisico, per esempio) emersi. Febbraio, per il Milan, cominciò con il successo, largo e convincente, di Roma contro la Lazio, ma si è concluso con una dimostrazione clamorosa d'impotenza, fisica e tecnica, dinanzi al Werder e con gli ennesimi gol subiti in duelli aerei, con Dida coinvolto, insieme con Maldini, il capitano, nel crollo dell'impero rossonero parte terza cominciato nel maggio del 2003, a Manchester e proseguito fino a Yokohama, dicembre del 2007, non un secolo fa dunque, tra cedimenti, sconfitte dolorose (Istanbul) e spettacolari risalite in quota.
La linea del Piave del Milan, da ieri, è una sola: la difesa del terzo posto in classifica. Che non è considerato un traguardo alla portata. Specie se le notizie provenienti dallo spogliatoio per domani a Genova, contro la Samp, allontanano dal recupero Kakà e Ronaldinho e riferiscono del ko subito da Ambrosini e Seedorf, che sono due pilastri di cemento armato della fragilissima impalcatura. Di qui il panico giustificato e la richiesta di serrare i ranghi, far ricorso alle antiche virtù berlusconiane. Poi resistono altri interrogativi: perché il Milan ha smesso di correre a fine febbraio mentre in passato la formula magica di Milanlab era diventata la risorsa, invidiata da tutti? Perché la squadra è rimasta per una intera sfida in balia del Werder, subendone iniziativa, palleggio e corsa, prima di arrendersi alle capocciate di Pizarro? Perché Dida, autore dell'ennesima amnesia nel finale, è tornato titolare, lasciando a riposo Abbiati? Ancelotti ha dato una spiegazione già giovedì sera: «Perché a Brema e in Uefa si era sempre ben comportato». Vero, ma bastano un paio di errori per far riemergere antiche ferite.
Sono troppi i quesiti relativi al Milan attuale, indecifrabile e spaventato: riguardano anche la gestione degli infortuni, per esempio. Perciò, alla fine di una giornata vissuta a Milanello, Adriano Galliani è tornato negli uffici di via Turati con in tasca la paura che il peggio debba ancora arrivare. La posizione di Ancelotti, al momento, non è in discussione. Qualche giorno prima della resa ai tedeschi, gli è stato fatto un discorso di questo genere: «Se arrivi secondo o terzo, puoi restare». Perché l'Uefa poteva spolverare gli ottoni del club, non certo contribuire al suo bilancio. E allora finisce col restare sospeso per aria anche l'ultimo degli interrogativi.
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