Sono 2.400 tonnellate di carburante: in pochi riescono a percepire l’esatta portata di questa bomba ecologica, ma tutti quanti intuiscono che è molto grande e molto pericolosa. L’isola del Giglio, assieme al suo comprensorio di impareggiabile bellezza, sta seduta da venerdì notte su questa bomba: il serbatoio della nave Concordia, un pozzo di petrolio che basterebbe ampiamente a devastare il paradiso terrestre, per un numero imprecisato di anni.
In casi come questo si parla subito di corsa contro il tempo. Arginata con le armi disponibili la prima emergenza delle vite umane, col passare delle ore diventa sempre più opprimente l’emergenza ambientale. Bisogna fare presto, bisogna fare bene. La Costa Crociere ha incaricato alcune società specializzate di studiare un modo efficace e indolore per rimuovere il mastodontico relitto. Si fa strada l’idea di sollevarlo con enormi palloni d’aria, così da poterlo rimettere sulla linea di galleggiamento e quindi trainarlo via con i rimorchiatori. Un’altra soluzione possibile è molto più cruenta: significa segarlo in tronconi e poi rimuoverli uno per volta.
La priorità assoluta e urgentissima, però, riguarda il carburante. Prima di pensare alla rimozione della lussuosa carcassa, è necessario svuotare il serbatoio. Quelle 2.400 tonnellate incombono sul mare e sulla costa in modo sempre più sinistro. Le prime macchie oleose sono già comparse: il ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha annunciato che il governo chiederà lo stato di emergenza.
Bisogna muoversi velocemente, ma con estrema cautela. La società proprietaria ha convocato sul posto venti uomini della «Smit Salvage», specializzata nel pompaggio del carburante. In termini tecnici, si tratta di «debunkerare» il liquido inquinante. Si calcola che per aspirarlo tutto serviranno almeno due settimane.
Purtroppo, il calcolo si fonda sull’ottimistica ipotesi che il mare lasci lavorare. E qui nascono invece tutte le ansie del caso: il mare finora si è mostrato indulgente e ha concesso una tregua, però non è detto che continui a tenere questo atteggiamento così collaborativo.
Già nella mattinata di ieri, ad un certo punto, le onde si sono alzate e gli uomini impegnati nei soccorsi hanno dovuto abbandonare il relitto. Rumori sinistri e inequivocabili ne hanno segnalato possibili spostamenti, poco prima di mezzogiorno. La conferma è arrivata puntuale, subito dopo: i sofisticati strumenti di misurazione hanno rilevato innalzamenti e abbassamenti dello scafo di nove centimetri, con uno spostamento in orizzontale di quasi due centimetri.
Raffrontate all’enormità della nave Concordia appaiono misure infinitesimali, ma non è così: valgono il preoccupato allarme. Significano che le onde del mare sono in grado di smuovere l’immane imbarcazione, con conseguenze inimmaginabili. Al momento i tecnici sono riusciti ad accertare che la poppa resta ferma, mentre c’è una flessione della prua. In queste condizioni si può continuare a lavorare, tanto che nel pomeriggio le ricerche dei dispersi e gli interventi di pompaggio sono ripresi. Di notte, però, tutto viene fermato per motivi precauzionali.
Lo spettacolo è desolante. Anche adesso che non è più una prodigio dell’ingegneria navale e una perla del turismo marinaro, ma solo un patetico rottame accasciato sulle rocce, il destino della Concordia è totalmente affidato alle lune del mare. Se nei prossimi giorni le condizioni meteo dovessero cambiare, si profilerebbe un incubo cupo come la tempesta: le onde potrebbero spostare la nave dal gradino naturale sul quale è adagiata, a 37 metri di profondità, facendolo cadere più in basso, a 70.
Che cosa significa? In questo caso sventurato, tramonterebbe per sempre la speranza di ritrovare vivi i dispersi. Insieme ad essa, la possibilità di mettere in sicurezza il relitto e svuotarlo del suo carico inquinante. Con le 2.
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