Roma - «Ci chiudiamo in un fortezza templare a ripensare con un seminario di quadri, con Gianni, il futuro del Popolo delle libertà. Sarà una... Frattocchie tricolore». Marcello De Angelis è un personaggio che per essere raccontato meriterebbe un piccolo romanzo. Per ora vi basti una sintesi: è deputato di An a Montecitorio. Ma da giovanissimo, nei primi anni ’70, era tra i leader di Terza posizione. Espatria a Londra quando un’inchiesta scioglie l’organizzazione. Quindi torna in Italia e si reinventa cantautore in un gruppo - i 270 bis - che deve il nome dall’articolo del codice penale sull’associazione sovversiva. Poi diventa dirigente di An, direttore di Area - rivista della Destra sociale - da 15 anni è l’intellettuale più vicino ad Alemanno. È stato sposato (il giorno del ballottaggio) dal futuro sindaco. Per capire l’alemannismo, bisogna sentire lui.
Onorevole De Angelis, che cos’è questa storia dei Templari?
«Eh, eh, eh... Abbiamo scelto un luogo quasi mistico. Un monastero fortificato dei Templari del 1222. È a Ocre, in Abruzzo. Il posto migliore per il nostro pensatoio».
Che tema avete scelto?
«Il titolo che ci siamo dati è Il ritorno delle élite. È una riflessione che parte dalla vittoria a Roma ma si collega alle teorie di intellettuali come Mosca, Pareto, Michels».
Come sarà il seminario?
«Dormiamo lì tre giorni: il 2, il 3 e il 4. Iniziamo la discussione con le relazioni di due intellettuali 30enni, Salvatore Santangelo e Alessandro Sansoni. Gianni chiude».
C’è la polemica sui saluti romani, e lei porta Alemanno in uno scenario da romanzo di Eco...
«Quella campagna di stampa dei saluti è assurda. Al 90% cento delle persone non gliene frega nulla... i media ci campano un mese. È uno dei tanti motivi per cui Gianni ha vinto».
Lei non avrebbe polemizzato per dei pugni chiusi se avessero salutato una vittoria di Rutelli?
«Ma figuriamoci! Per me Che Guevara, la Stella rossa e i saluti romani sono come le sciarpe della Lazio o della Roma: coreografie».
Eppure lei ha una passione per l’uso dei simboli in politica.
«Quelli viventi hanno peso diverso. Quelli dei morti diventano icone. O sono trasfigurati e mutati di segno».
Mi faccia un esempio.
«Prenda la croce celtica di Gianni, ne discutono ancora. In primo luogo è assurdo che si polemizzi con lui per un ciondolo che era del suo migliore amico ucciso nel 1983... ».
E poi?
«Pochi ricordano, persino tra noi, che quando negli anni ’70 i giovani di destra adottarono le celtiche, lo facevano per segnare la rottura con la simbologia del neofascismo ufficiale. Delle maldestre interpretazioni giudiziarie hanno poi rovesciato il messaggio nel suo opposto».
Parla dei tempi in cui era uno dei leader di Terza Posizione...
«Fu uno dei movimenti più innovativi degli anni settanta. Metà delle idee che portano alla vittoria del Pdl e di Alemanno vengono da lì».
Ad esempio?
«L’idea che i partiti non devono dividere il popolo... La convinzione che l’appartenenza nazionale è l’unico luogo dove costruire vera democrazia, garantire diritti sociali... Il rifiuto del controllo globale; l’idea che gli steccati fra destra e sinistra erano già allora finiti, che ci portò a simpatie per la Terceira posicion, Montoneros argentini!».
E si torna al vostro seminario
«Area è nata nel ’96, come apripista di una battaglia culturale. Quando tutti a destra predicavano le follie liberiste, abbiamo combattuto l’innamoramento per i modelli “esotici”: Aznar, Chirac e la Thatcher... Senza le idee della destra sociale i voti delle borgate romane ce li scordavamo».
Ai tempi di Tp, lei e Alemanno eravate su fronti opposti.
«Lui era seguace di Beppe Niccolai, la sinistra Msi. Noi occupavamo case nella borgata di Palmarola. Lui era più astratto, più teorico... Ci considerava populisti, credo».
Il vostro legame è nato allora.
«Sì, dopo anni di polemiche c’è stato un reciproco recupero».
Che bilancio fa di quella storia?
«Vorrei cogliere l’occasione per chiudere una diffamazione che dura da ventotto anni. Tp, come organizzazione, è stato prosciolta da ogni addebito giudiziario. Noi, gli “ispiratori politici” non siamo stati condannati per dei reati, ma per un articolo del codice Rocco sulla “cospirazione politica”, il 304, scritto dal regime fascista per perseguire gli scioperanti e mai applicato dal 1946 a oggi!».
E lei si è beccato 5 anni.
«Sì. Per aver scritto il pamphlet la Rivoluzione è come il vento, in cui difendevamo l’attività del movimento».
Lei si è sposato il 28 aprile, l’anniversario della morte di Mussolini. Non mi dica che è un caso...
«Avevamo chiesto il 15... Ma il calendario municipale ci ha permesso di mutare una ricorrenza lugubre in un giorno fausto».
So che aspetta un figlio...
«Si chiamerà Nazzareno, come mio fratello Nanni. Per un’altra redenzione della storia decisa dal caso, vedrà la luce a luglio. A 50 anni esatti dalla sua nascita».
E la sua vita da rockstar nera?
«È stata una tappa del nostro impegno politico. Era un modo per declinare, anche in forma poetica il bisogno di ideali e di identità».
Da anni lei dice di voler smettere, ma poi è uscito un album quando lei era già senatore.
«Erano canzoni già registrate, più intimistiche. Come musicista non smetterò di comporre, come non smetto di dipingere. Ma è un’altra vita, come Cat Stevens che è diventato Yusuf Islam dopo la conversione all’Islam».
È il suo mito, dicono.
«L’ho incontrato nella Moschea di Regent’s park, a Londra. Mi ha spiegato che esiste un Islam non integralista che ha una forte vocazione umanitaria».
Perché un seminario di soli quadri?
«Era organizzato prima della vittoria: ora che è sfatato il mito del partito leggero, servono idee pesanti».
Dove arriverà Alemanno?
«In Campidoglio, per cinque anni di lavoro duro. Se esce vivo dai problemi di Roma è pronto per l’Onu».
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