Roma - Le montagne russe del totoministri sono un ricordo lontano. Senza contare che trascinare Maurizio Sacconi nel teatrino significa forzare la sua natura, decisamente più incline ad occuparsi delle materie che gli appartengono - il lavoro e le relazioni industriali - che ad applicarsi negli inevitabili tatticismi della politica. Fatto sta che il primo pensiero del neoministro al Welfare è alle cose da fare, cioè alle riforme. E a chi, anche questa volta, le ispirerà: Marco Biagi. Il professore di diritto del lavoro ucciso dalle Brigate rosse proprio mentre stava lavorando con Sacconi al ministero allora guidato da Roberto Maroni. Vuole ripartire da lì, il ministro. Questa volta la priorità sono i salari dei lavoratori dipendenti che devono crescere insieme all’economia del paese. Questa volta Sacconi è convinto di poter fare questo percorso con tutto il mondo sindacale. Con Cisl e Uil, anche con la Cgil di Guglielmo Epifani.
Domanda scontata visto che viene rivolta a un politico chi si è sempre occupato di lavoro. È soddisfatto della nomina a ministro?
«Fa piacere avere la possibilità di riannodare un filo spezzato».
Quindi riprendere il lavoro svolto al ministero del Welfare con Maroni?
«Dico che fa piacere riprendere il percorso delle riforme che era iniziato con Marco Biagi. Perché noi non potremo che ripartire dal suo Libro bianco, che aveva disegnato un percorso di modernizzazione del nostro mercato del lavoro. Mi auguro che quel percorso di riforme possa ora essere ripreso senza i conflitti pregiudiziali che purtroppo hanno segnato quella stagione».
La Legge Biagi ha diviso la politica e il sindacato anche in tempi più recenti. Pensa ci siano le condizioni per ripartire proprio da lì?
«Per fortuna le idee di Marco Biagi hanno fatto strada e ormai sono maggioritarie. E non solo nel Parlamento, anche nella società, nel mondo del lavoro. E questa è la massima soddisfazione nel riprendere quel percorso, con l’impegno di realizzare tutto il sogno che fu di Biagi».
E quale sarà il primo passo?
«I salari del lavoro dipendente. Perché non possiamo che affrontare insieme questa emergenza che è insieme economica e sociale. Noi dovremo definire una disciplina fiscale di favore nei confronti delle parti del salario che variabilmente si collegano alla flessibilità organizzativa delle imprese. Agli orari, alla maggiore produttività o ai migliori risultati. Dobbiamo dare una risposta all’esigenza di far ripartire i salari e da questo far ripartire i consumi, là dove questo è possibile».
Non c’è solo questa sfida ad attendere il ministero del Lavoro. La riforma dei contratti è ormai nell’agenda delle parti sociali. Cosa farà il governo?
«Noi dovremo favorire un’evoluzione del nostro modello contrattuale e, più in generale, del nostro sistema di relazioni industriali. È ora di superare un’idea classista e conflittuale delle relazioni industriali per promuovere quel modello partecipativo, collaborativo che corrisponde alla naturale aspirazione delle lavoratrici e dei lavoratori».
La sua nomina a ministro arriva proprio nel giorno in cui Cgil, Cisl e Uil hanno approvato il documento unitario sulla riforma della contrattazione. È casuale?
«È una buona notizia. Difatti sono ottimista sulla possibilità di dialogare con tutte le organizzazioni sindacali. È un buon viatico per il governo».
Pensa che il documento sia la prova che questa volta anche la Cgil è disposta a dialogare con il governo di centrodestra?
«È la testimonianza che forse è finita una stagione. Sono ottimista, perché tutte le organizzazioni, anche se con accenti diversi, sono disponibili a un confronto senza pregiudizi».
Una delle prime misure annunciate dal centrodestra, la detassazione delle parti variabili del salario, riguarda proprio il suo
«È anche materia del ministero dell’Economia, sono in ballo delle misure fiscali. Quindi tutto andrà valutato collegialmente. Ora comincia un percorso e questa è la cosa importante».
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