Roma Una «cena carbonara e piduista», dei «giudici spregiudicati». Le parole di Antonio Di Pietro colpiscono come pietre nell’aula di Montecitorio. È stata «compromessa la credibilità della Corte», grida, che dovrà decidere il 6 ottobre sul lodo Alfano. Il leader dell’Italia dei valori lancia le sue accuse ai partecipanti dell’incontro a casa del giudice costituzionale Luigi Mazzella: il premier Silvio Berlusconi, il Guardasigilli Angelino Alfano e un altro membro della Consulta, Paolo Maria Napolitano. Chiede le dimissioni del ministro della Giustizia (che non è presente) e dei due giudici «spregiudicati». Alza i toni. Tanto che scoppia una bagarre con il ministro dei Beni Culturali. Dopo aver atteso invano l’intervento del presidente di turno, Rocco Buttiglione, Sandro Bondi perde la pazienza e attacca Di Pietro: «È solo lei che infanga l’Italia, si vergogni!». Grida ancora quando, accompagnato dai commessi, lascia l’Aula per protesta.
È l’epilogo di un pomeriggio di grande tensione in cui il governo ha risposto all’interrogazione dell’ex pm che chiedeva perché è stata organizzata la cena. Anche il Pd, in un’interpellanza, la definiva «gravissima» e «inopportuna», perché lede il prestigio della Corte e chiedeva ai due giudici di astenersi sul lodo Alfano. Ma Di Pietro vuole di più, vuole la loro testa e quella del Guardasigilli.
Non gli basta la risposta del ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, che dice: «Il governo Berlusconi non ha organizzato nella casa del giudice Mazzella alcuna riunione». È stato un «incontro conviviale», con «rispettive consorti» e non si è parlato dei temi in agenda all’Alta Corte, né di riforma costituzionale della giustizia, come ha sostenuto L’espresso. Oltre tutto, sottolinea Vito, si è svolto nella prima metà di maggio e cioè «prima che la Consulta fissasse al 6 ottobre la data di inizio della sua discussione sul Lodo Alfano».
Di Pietro si dice insoddisfatto, insiste sulle dimissioni, usa parole pesanti. E poco dopo gli risponde indirettamente lo stesso giudice Mazzella, che indirizza a Berlusconi una lettera aperta, perché non si parli di «missiva “carbonara e piduista”, secondo il colorito linguaggio di un parlamentare». Si rivolge all’«amico di vecchia data» e assicura che la cena a casa sua non è stata la prima e «non sarà certo l’ultima fino al momento in cui un nuovo totalitarismo malauguratamente dovesse privarci delle nostre libertà personali». Mazzella aggiunge: «L’amore per la libertà e la fiducia nell’intelligenza e nella grande civiltà degli italiani che entrambi nutriamo ci consente di guardare alla barbarie di cui siamo fatti oggetto in questi giorni con sereno distacco». Soprattutto, il giudice ribadisce che quella sera non si è parlato di lodo Alfano o di riforma e si chiede chi possa aver riferito a L’espresso un «fantasioso contenuto delle nostre conversazioni a tavola, inventandosi tutto di sana pianta» e inducendo il settimanale a «raccontare frottole ad ignari lettori». Mazzella ricorda anche: «Molti miei attuali ed emeriti colleghi della Corte Costituzionale hanno sempre ricevuto nelle loro case, com’è giusto che sia, alte personalità dello Stato e potrei fartene un elenco chilometrico». In sostanza, il giudice costituzionale ribadisce che, come ha già detto, non ha alcuna intenzione di scusarsi, tantomeno di dimettersi o di astenersi.
Le libertà personali vengono dopo il prestigio dell’istituzione, gli ricorda la capogruppo Pd in commissione Giustizia alla Camera. «Chi ricopre una carica di un organo di rilevanza costituzionale - dice Donatella Ferranti - , è tenuto anche a limitare alcuni propri piaceri personali per garantire e tutelare anche la sola immagine di indipendenza autonomia e trasparenza dell’alto organo cui appartiene». E Lanfranco Tenaglia sottolinea che un giudice ordinario per un fatto del genere finirebbe sotto procedimento disciplinare. Di Pietro, invece, chiede l’intervento del presidente della Consulta e del Capo dello Stato. «Con la sua lettera aperta a Berlusconi - dice - Mazzella è reo confesso. Infatti ammette di essere un amico di vecchia data e di avere rapporti di frequentazione e di intimità con il plurimputato Silvio Berlusconi, senza rendersi conto che egli è anche giudice della Corte Costituzionale che deve esprimersi sulla legittimità del lodo Alfano, cioè proprio su quella legge che Berlusconi si è confezionato per non farsi processare».
Agli attacchi di Pd e Idv rispondono in tanti dal Pdl e Fabrizio Cicchitto ribalta l’accusa.
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