Osama, il Lenin del nuovo millennio

Osama, il Lenin del nuovo millennio

Gianni Baget Bozzo

C'è stata esitazione nella titolazione dei giornali nel definire il terrorismo islamico come islamico. Il cardinale Sodano ha corretto la prima reazione ufficiale venuta da Roma, che parlava di atti antiumani ed anticristiani, il ministro Pisanu ha sostituito il termine islamico con il termine internazionale. Ci sono buone ragioni per questa censura del linguaggio, ma tuttavia la parola censurata è quella significativa. Non a caso il premier britannico ha detto con chiarezza che l'attentato londinese è stato compiuto «in nome dell'Islam».
In realtà il terrorismo è un'invenzione occidentale, dei rivoluzionari dell'Ottocento, per cui colpire i simboli del potere era mostrarne la debolezza e la fragilità. Il terrorismo cominciò con il regicidio, l'uccisione del sacro nel simbolo: non a caso, negli anni '70, il terrorismo rosso in Italia, che ne fu la patria, seguì la medesima logica.
Dalla mimesi del terrorismo occidentale, che colpisce i simboli per eccitare alla rivolta le masse, dimostrando che il re è nudo e vulnerabile, nasce il terrorismo di Osama Bin Laden. Esso ha fatto il suo capolavoro nell'attentato dell'11 settembre alle Due Torri, volendo colpire il simbolo della vita occidentale. Si tratta di una grandissima invenzione religiosa e politica, paragonabile all'intuizione di Lenin che la Russia zarista e ortodossa era, proprio per le sue radici spirituali, matura per una radicale rivoluzione ideale come l'abolizione della proprietà privata.
Tuttavia il termine islamico rientra di buon diritto nella definizione del terrorismo, anche se esso sarà a lungo censurato. Ma non è un caso che il premier inglese non si sia limitato a ringraziare il Consiglio Islamico di Inghilterra per la sua solidarietà nella dichiarazione successiva all'attentato, ma abbia, parlando più politicamente, chiesto ai musulmani di Inghilterra di collaborare attivamente alla cattura dei terroristi. Questo significa che tale collaborazione non è ancora avvenuta e che la solidarietà contro gli attentati non giunge fino alla lotta contro gli attentatori, i quali nuotano nel Londonstan come un pesce nell'acqua, secondo l'espressione di Mao. È molto difficile che Blair ottenga in forma rilevante questa seconda collaborazione, come non l'ha ottenuta nemmeno Zapatero, poiché dopo l'11 marzo il terrorismo è stato ancora una minaccia per la Spagna. L'Occidente ha sottovalutato che Osama Bin Laden ha posto a tutta la comunità islamica un problema: la sua soggezione economica, politica e militare all'Occidente è compatibile con la fedeltà islamica o non è piuttosto il segno di una apostasia di massa, che ha per centro i governi dei Paesi musulmani? Osama Bin Laden ha fatto dell'Islam il nuovo proletariato interno ed esterno alla comunità occidentale, ha fatto prendere all'Islam e alla Umma islamica il posto del proletariato e del partito, il posto che fu del comunismo. Per questo esso ha potuto porre radici anche nella sinistra occidentale, specie nella sinistra italiana, orfana del mito rivoluzionario che l'aveva costituita. L'attentato all'Occidente è la base della lotta contro l'apostasia islamica degli Stati e fonda la sua militanza su tutti gli islamici, come singoli chiamati a lottare in forma attiva contro l'Occidente e contro gli Stati musulmani per rimanere fedeli al Corano. L'integralismo religioso dissenziente anche dalla lettera coranica, proprio del Wahabismo saudita, si è trasformato nel centro di una rivoluzione mondiale rivolto non alla massa islamica come tale ma ai singoli musulmani, chiedendo loro di diventare veri musulmani in quanto islamici militanti contro l'Occidente. Ciò significa che ogni islamico è chiamato a chiedersi se il suo inserimento nell'Occidente è compatibile con la sua identità islamica, se egli è o no, implicitamente, un apostata, quando accetta i ritmi e modelli quotidiani della vita occidentale. Vivo o morto che sia, Osama Bin Laden, come grande riformatore religioso e politico, rimane il maggior protagonista dei primi anni di questo secolo. Il mondo islamico si interroga e la sfida che gli è lanciata è ormai ben superiore al conflitto israeliano-palestinese, che, in qualche modo, con la seconda Intifada fu la matrice materiale del conflitto. L'Occidente è impreparato a accettare questa sfida e a capire che è costretto a dimostrare, resistendo agli attentati, di avere fede nella propria civiltà. La parola «fede» è qui di rigore, appunto perché si ha a che fare con un'altra fede e che l'elemento su cui ambe le fedi si fondano non è una certezza razionale. Si può dire al massimo che l'Occidente deve avere fede nella ragione, il che è un altro modo di reintrodurre il ruolo della fede cristiana proprio come fondamento dell'ipotesi della convivenza umana fondata su regole immanenti. È quel nesso tra fede e ragione su cui insiste Benedetto XVI. Ma l'Occidente deve sapere di essere affrontato da un fenomeno interamente nuovo. E bisogna pur riconoscere che proprio per distinguere il popolo islamico dai militanti terroristi lo Stato non dispone più di una religione alternativa ma solo delle sue armi di Stato.

La povertà della sua laicità.

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