Otto anni di polemiche e soldi buttati

La vicenda della Raphael-«Strutture sanitarie e dell’ospitalità» ha inizio il 29 dicembre 1998, quando la Asl Roma E stipula con la società, proprietaria di due villini nel condominio «Sakkara» di via Cassia 1791, la prima convenzione di durata decennale (nel 2003 prorogata fino al 2013) che abilita la struttura come comunità terapeutica-riabilitativa per pazienti psichiatrici, destinandola al Dipartimento di salute mentale. Una convenzione di circa 700mila euro l’anno in cui si stabilisce il pagamento «vuoto per pieno», per cui la Raphael ha diritto a incassare come se la struttura fosse sempre esaurita. La Asl si impegna inoltre per iscritto a mettere in condizione la Raphael di ottenere le necessarie autorizzazioni presso l’assessorato regionale alla Sanità.
Il primo settembre del 2000 il complesso (costituito da 20 posti letto e da un centro diurno per altri 20 posti) è pronto ad accogliere i pazienti che arrivano dall’ex manicomio di Santa Maria della Pietà. Ma già a maggio, prima dell’apertura dunque, era scoppiata la grana del condominio «Sakkara», il cui amministratore aveva diffidato tramite raccomandata inviata ad Asl Roma E, Regione e Comune dall’avviare la prevista attività sociosanitaria adducendo come motivazione la svalutazione degli altri immobili e il regolamento condominiale che non consentiva tale attività. Una rivendicazione cui nel 2001 segue un’azione legale nei confronti di Raphael e Asl Rm E, con quest’ultima che dapprima si costituisce regolarmente in giudizio al fianco della società.
Nel febbraio del 2002 un infermiere di una delle cooperative cui la Asl aveva appaltato l’assistenza dei degenti, denuncia un serie di casi di malasanità all’interno del centro. L’episodio spinge il procuratore speciale della Raphael, Oreste Zambrelli, a segnalare la situazione a Regione e alla Asl Roma E affinché intervengano. Per altri due anni i pazienti restano alla Raphael (che lavora a pieno regime). Poi il 29 aprile 2004 il colpo di scena: la Asl decide di trasferire tutti al Santa Maria della Pietà, utilizzando l’espediente del cambio di nome (addirittura doppio) del dipartimento: prima «Medicina di base», quindi «Medicina fisica e di riabilitazione». Si tratterebbe di disagiati mentali che fanno ginnastica, insomma.
Parallelamente la Raphael continua ad incassare i soldi della convenzione per una struttura ormai deserta: Zambrelli scrive alle competenti autorità regionali e della Asl per sollecitare l’invio di nuovi pazienti e non lasciare il centro inutilizzato. Fino a quando, il 19 luglio 2004, la Asl Rm E comunica alla società che i pagamenti sono sospesi. Ma miracolosamente due giorni dopo, il 21 luglio 2004 la Regione concede, dopo quattro anni, le autorizzazioni per «l’apertura e l’esercizio» alla Rapahel: un atto che sancisce la ripresa dei pagamenti stessi. Gli altri momenti salienti della querelle sono storia recente: il 10 gennaio 2005 (dopo otto mesi di inattività) la Asl stipula una nuova convenzione con la «Fondazione Lugli». Alla Raphael arrivano mediamente non più di 6 ospiti anche se la Asl, a causa del solito «vuoto per pieno», paga come se fossero 40.
Nello stesso anno c’è poi la sentenza di primo grado del Tribunale di Roma che dà ragione al condominio, e in seguito alla quale la Asl decide di svuotare la struttura il 15 settembre 2005. La Raphael fa ricorso in appello mentre la Asl si rifiuta, sostenendo le ragioni del condominio pur di non far riprendere le attività, adducendo tra i vari motivi la «pericolosità per i terzi dei pazienti»: il 24 gennaio scorso la Corte d’Appello rigetta così la richiesta di sospensiva.

Ad agosto il fascicolo d’inchiesta passa nelle mani del sostituto procuratore Maria Cristina Palaia in seguito alla denuncia sporta dallo stesso Zambrelli per danno erariale alla Corte dei Conti, e per gli altri fatti alla Procura della Repubblica.

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