Ottomila in Duomo per suor Bernadette

Ottomila in Duomo per suor Bernadette

L’Unitalsi lombarda è tra le più attive sezioni d’Italia. Lo ha dimostrato in Duomo all’arrivo della costola di Santa Bernadette Soubirous, la veggente anafalbeta della Signora che il 25 marzo 1858 si autoproclamerà: «Io sono l’Immacolata Concezione». La gente lombarda non si rivolge a Lourdes solo con l’Unitalsi. C’è anche l’Oftal (Opera federativa trasporto ammalati a Lourdes) che conta in Lombardia ben quattromila e cinquecento iscritti. Insorge la domanda: perché una regione e un capoluogo dominati da una cultura produttiva, razionale, frettolosa, altamente medicalizzata, sono così devoti a un luogo noto per essere il centro di un evento chiamato «miracolo», quanto di più alieno a un’idea concreta dell’esistere?
«Vorrei specificare una cosa - spiega Alessandro de Franciscis, medico permanente e presidente dall’aprile 2009 del Bureau des Costatations Médicales per la verifica delle «guarigioni presunte» -. Qui non vengono solo le persone religiose. Alla Grotta di Massabielle arriva anche l’uomo del tutto agnostico, ateo, come scienziati di fama internazionale malati terminali, che vogliono fare l’esperienza di Lourdes al di là delle fede. Vogliono esperire con lucida cognizione di causa la particolarità di un luogo unico al mondo per il suo stile d’accoglienza e di interpretazione della malattia. L’unico posto al mondo dove il malato gode di diritti assoluti, principio che non c’entra con la religione».
Lourdes vive fin dall’inizio d’una polarità di opposti. Le misteriose apparizioni si verificano nella Francia della seconda metà del 1800, ancora dominata dalla filosofia dell’illuminismo, anticlericale e razionalista. In nessuna delle apparizioni la Signora parla di malattie o guarigioni, tanto che la stessa Bernadette vivrà un’esistenza afflitta da gravi patologie, mai sanate. Ma lei pronuncia la parola miracolo? «Il cristiano che io sono crede nei miracoli, ma in quanto medico non uso mai questa parola. Come i miei colleghi parlo di biopsie, cortisonici, chemioterapia. Quando inizio ad avanzare un dossier di presunta guarigione, non si possono immaginare le carte, i certificati, le analisi che partono dal mio ambulatorio per andare, tornare, riandare negli ambulatori di tutto il mondo. Anni e anni di verifiche scientifiche senza posa. Non mi piace dire che a Lourdes avvengono prodigi. Lourdes è il prodigio. Vedo uomini disperati che ritrovano il senso della vita. Giovani depressi, inquinati da computer, pornografia, droghe diventare attivi nel servizio ai pellegrini ed essere felici. Si verifica di tutto e, ripeto, al di là della fede cristiana. Dicevamo di Milano. E’ vero che i lombardi sono una presenza significativa. Quindi userò un’immagine per far capire lo spirito di Loudes: un milanese che si identifica con la silhouette del Duomo può essere anche non cristiano, no?».
Gnosticismo e religiosità: due anime agli antipodi che alla Grotta si stringono la mano, per restare uguali a prima. Lo racconta anche il premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina 2008, Luc Montaigner nel libro Il Nobel e il Monaco. Lo gnostico e l’uomo di Dio, il padre cistercense Michel Niaussat. Montaigner dichiara che sotto i bombardamenti del 1944 viene preso dal terrore di scomparire e l’idea di Dio lo abbandona. Però afferma sui segni miracolosi: «Quando un fenomeno è inspiegato, se esso esiste veramente non serve a nulla negarlo». Un caso per lei miracoloso? «Una donna che chiamerò «Camilla». Di nazionalità britannica, lasciata la fede a suo avviso ipocrita dei genitori, diventa manager e si trasferisce a Singapore. Presa da allucinazioni, le viene diagnosticato un glioblastoma multiforme allo stadio quarto al cervello. Un mese di vita. Reticente, viene a Lourdes. Alle piscine scoppia in un pianto liberatorio, cerca un sacerdote che le dice di tornare alla grotta solo per scoprire il dono d’amare e d’essere amata. Poco dopo, conosce un uomo. Si sposa. Nasce una figlia. Sono passati sei anni dalla diagnosi, Camilla non solo è viva ma è incinta un’altra volta. Non aggiungerei nient’altro al semplice racconto.

Noi impieghiamo dieci anni per dichiarare inspiegato un avvenimento simile a questo. Io prego e so che pregare significa amare, non spiegare. E amare sicuramente non vuol dire avere una laurea in medicina per dare una ragione a fatti che forse non vogliono neppure cercarla».

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