C'è la storia dietro l’ultima vogata. Come se Darwin fosse in acqua contro Einstein e Tolkien contro Lewis e la Thatcher contro Churchill. Allora spingi e conta: otto secoli, poi il futuro. Questa è la metafora di una rivalità che lo sport trasforma in sfida. Due barche, il Tamigi, otto canottieri per uno. Il canottaggio è il pretesto. Oxford-Cambridge, Cambridge-Oxford, tutto: la disciplina, l’educazione, lo studio, i corsi, la mentalità, la cultura, i finanziamenti. Filosofie che remano contro.
La Boat Race che oggi nuovamente si celebra è lo specchio: mostra i muscoli per tenere nascosti i cervelli una volta all’anno: oggi è diversa, vale sempre la gloria per un anno e però vale anche di più perché cade nell’anniversario 800 dell’inizio di tutto, della fondazione di Cambridge, dell’uscita di un gruppo di studenti di Oxford che nel 1209 se ne andarono e fondarono un altro ateneo. Erano stanchi delle punizioni, del rigore eccessivo, dell’oppressione dei professori, dice la leggenda. Ottocento anni non hanno cambiato nulla: l’antagonismo fa parte dello stile di vita, dello scontro ideologico-culturale, della tradizione e dell’orgoglio. Se sei dentro una delle due devi essere contro l’altra. L’ultima frontiera sono i finanziamenti privati: la guerra per una sterlina in più, perché quella sterlina serve a mettere in difficoltà l’avversaria. La “Race” è la fierezza che si ripropone: battere i rivali per sentirsi migliori. Sulle sponde del Tamigi arrivano 400mila persone, otto milioni di inglesi sono davanti alla tv: ogni ex alunno non può non vedere la gara, non può non mettere la maglietta del suo ateneo. È l’Inghilterra che si divide e sceglie da che parte stare nel giorno in cui per l’Inghilterra comincia la primavera. Perché Oxford-Cambridge è dentro le ossa di questo Paese e poi è arrivata oltre: simbolo globale di sfida, scimmiottata negli Stati Uniti e altrove. Diciassette minuti, non di più. E in quei diciassette minuti c’è ogni cosa: il fiume bagna entrambe le città, accarezza entrambe le università.
Si bagnano nella stessa acqua da sponde diverse: Oxford è conservatrice, Cambridge è modernista. Si dividono tutto e così sono complementari una all’altra: allora ogni premier inglese, da Churchill in poi, ha studiato a Oxford, ma tutti i loro consulenti, i loro spin doctor, le loro menti pensanti, arrivano da Cambridge. Come Blair e Campbell, uniti da una chimica perfetta: Tony creato e Alistair creatore oscuro e nascosto, Tony faccia e bocca, Alistair penna e testa. Così da sempre e così per sempre. Lo dice l’insegnamento e le specializzazioni e pure il tessuto sociale delle due città: gli atenei sono il volto della cultura della gente che vive attorno.
Allora Oxford è tradizionalista e vive ancora di metallurgia e meccanica: la Bmw produce lì la Mini, orgoglio un po’ annacquato dello stile british. Cambdrige, invece, è la Silicon Valley inglese: aziende hi-tech, internet, futuro. Le università assorbono e rispondono, così Oxford è umanista e Cambridge è scientifica. La guerra strisciante che dura da otto secoli passa per i premi Nobel, con rettori e senati accademici delle due università che ogni anno aggiornano i numeri della battaglia: vince Cambridge 84 a 51.
La Boat Race fa lo stesso, dal 1829, da quando Charles Wordsworth (nipote del poeta William) e Charles Merival organizzarono la prima gara a remi tra i due atenei. Il primo era un veterano di Oxford, il secondo uno studente di Cambridge. Insieme inventarono il simbolo. Il 12 marzo 1829 Cambridge inviò una lettera a Oxford. Era la richiesta ufficiale di una sfida. Ancora oggi il cerimoniale vuole che i perdenti rilancino il duello per l’anno successivo. O così o non si gareggia. Allora, la prima volta, vinse Oxford. Per sei anni nessuna rivincita. Nel 1836, Cambridge spedì un nuovo messaggio. Gara: vittoria agli sfidanti. Da allora solo le guerre mondiali l’hanno interrotta, solo i morti l’hanno fermata.
Appuntamento, happening, rito. Un aneddoto infinito, una storiella per i bambini: ogni oxfordiano e ogni cambridgino deve spingere il nipote a scegliere la sua università. Allora racconta, dice, romanza. Nasconde solo quella volta, nel 1877, quando la gara finì per la prima e unica volta della sua storia senza un vincitore. Pari. I due equipaggi al traguardo vicinissimi l’uno all’altro. All’arrivo, il giudice John Phelps non se la sentì di rischiare troppo: «Vittoria per entrambi». La storia dice che Phelps si fosse appisolato per qualche istante non riuscendo a vedere chi avesse vinto davvero.
I fatterelli, gli episodi e le curiosità alimentano la storia, scendono e salgono, prendono i salotti buoni e vanno giù: l’anima più popolare dello sport coinvolge dal basso, dagli studenti ai bidelli, ai tecnici, alla gente che non è mai stata né da una parte, né dall’altra. Ecco, nell’ultima domenica di marzo sceglie. Oxford o Cambrigde. Magari è una questione di colore, anzi di tonalità del blu. Dark blu Oxford e Light blu Cambridge, cioè azzurro forte e celestino. Diversi con un’origine diversa. È l’anima della sfida perenne, la consapevolezza di venire dalla stessa matrice e poi d’aver scelto due strade diverse.
Oxford non avrebbe mai fatto quello che fece Cambridge contro Blair: l’università era in crisi, il governo scelse di aumentare le rette, allora gli studenti cominciarono a protestare, poi bloccarono le classi: «L’università è di tutti». Oxford continuò a lavorare e accettò che le tasse aumentassero: non si protesta mai, se non quando è assolutamente necessario. Perché si lavora e si studia, perché quella è l’università e la città di Adam Smith, mentre Cambridge è di Keynes, perché la Thatcher s’è laureata a Oxford e non è un caso. Cambridge è più scanzonata, meno seriosa, più dissacrante.
È così per statuto non scritto, per una paradossale convenzione sociale che la obbliga moralmente a fare ciò che i rivali non farebbero mai. Allora qualche mese fa il rettore ha scritto ai produttori di tutte le serie tv e le soap-opera della Gran Bretagna: «Ambientate da noi le vostre storie». Oxford no. Oxford ospita il set di Harry Potter ed è il massimo che si concede, perché l’austerità deve arrivare anche sullo schermo. Si vergognerebbe di Hugh Laurie, il Dr. House della televisione, nato a Oxford e però rinnegato: si iscrisse all’università di Cambridge, si laureò e prima di laurearsi fece anche sport. Canottaggio. Entrò in squadra e il 26 marzo 1980 gareggiò nella Boat Race. Perse per un metro.
A casa, dagli amici d’infanzia, non torna. «È diventato acido da quel giorno», dicono dalle sue parti. Non è vero, però ci credono. La rivalità tra Oxford e Cambridge non può avere confini e limiti. Valgono anche le bugie.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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