Padania e secessione Napolitano minaccia di far arrestare Bossi

Attacco alla Lega sulla secessione: "Il popolo padano non esiste". I falchi della Lega accettano la sfida: pronti alla prigione

Padania e secessione 
Napolitano minaccia  
di far arrestare Bossi

Roma - Non è la prima volta che difende l’unità nazionale dalle impennate secessioniste della Lega. Ma forse mai Giorgio Napolitano era stato così reciso e bellicoso, né mai così duro il suo attacco al principale alleato di governo di Berlusconi: «Il popolo padano? Non esiste», e non esiste spazio alcuno per «una via democratica alla secessione» nell’ambito delle leggi italiane e della Costituzione.
E chi ne vuole impugnare la bandiera stia attento, perché può essere chiamato a pagarne il fio, spiega il capo dello Stato da Napoli, dove ieri ha dialogato con gli studenti ed i docenti della facoltà di Giurisprudenza. Ricordando, per dare forza al suo avvertimento, le vicende dell’indipendentismo siciliano durante la Seconda guerra mondiale: «Nel 1943-44 - dice - quando ci fu un tentativo di organizzazione armata e agitazione separatista, anche quell’appena rinato Stato italiano non esitò a intervenire, anche pesantemente, con l’arresto e la detenzione di un capo importante di quel movimento, Andrea Finocchiaro Aprile».
Il riferimento alle recenti sortite degli uomini del Carroccio e ai loro raduni di Pontida, anche se proprio non diretto, è quanto mai esplicito: «Ho avuto modo di dire che la secessione è fuori dalla storia, e ho aggiunto fuori dalla realtà del mondo di oggi - dice Napolitano - Perché se si guarda al mondo d’oggi appare grottesco semplicemente il proporsi di creare che cosa? Uno Stato Lombardo-Veneto? Che quindi calchi la scena mondiale competendo poi con la Cina, con l’India, con il Brasile, con gli Stati Uniti, con la Russia... Mi pare che il livello di grottesco sia tale che dovrebbe bastare questo richiamo a far capire che si può strillare in un prato ma non si può cambiare il corso della storia».
«Nessuno nega la rilevanza politica e sociale di questo movimento», continua il presidente della Repubblica parlando dei leghisti, e riconoscendo che il partito di Umberto Bossi ora «ha scelto la strada del federalismo fiscale». Cosa che, sottolinea però, «pare una stranezza», perché «il federalismo rappresenta una corrente di pensiero da cui sono nati Stati autenticamente federali». Quindi il «federalismo fiscale dovrebbe essere la conseguenza di uno spicchio di evoluzione in senso federale dello Stato italiano».
In ogni caso, dice il capo dello Stato, «io ritengo che questa parziale conversione» dei leghisti «sia stata positiva». Un ravvedimento messo però a rischio dalle «nuove grida» bossiane che invocano la separazione del Nord, grida «già sentite anni fa» e che ora, teme Napolitano, sembrano tornare in auge. E il presidente ricorda l’articolo 5 della Carta: «Lì si dice che la Repubblica è una e indivisibile ed è lo stesso articolo in cui si dice che la Repubblica riconosce e valorizza le autonomie». Due binari paralleli, da rispettare entrambi.
Napolitano ha anche affrontato altri capitoli, primo fra tutti il sistema elettorale. E anche qui non ha girato attorno all’argomento: «Non tocca a me fare le leggi, ma credo che la necessità di un nuovo sistema elettorale sia innegabile», ha affermato reciso. Accusando l’attuale «Porcellum» di aver «rotto la fiducia tra elettore ed eletto» e prodotto, in sostanza, un Parlamento di nominati, in cui gli eletti cercano solo di «mantenere buoni rapporti» con chi ha il potere di nomina. Non a caso, proprio ieri il comitato promotore del referendum (che plaude entusiasta alle parole del presidente, e - secondo le parole di un suo esponente - conta sul fatto che «il sostegno di Napolitano non potrà non avere un peso nelle decisioni della Consulta sull’ammissibilità») ha depositato in Cassazione più di un milione di firme sul quesito che vuole abrogare la legge attuale e reintrodurre, in base al principio della «reviviscenza», il vecchio «Mattarellum».

Di cui ieri Napolitano ha tessuto le lodi: «In passato il sistema maggioritario creava un vincolo forte tra eletto ed elettore». Mentre, con le attuali liste bloccate, l’eletto «non ha più la necessità di mostrare competenza, attività e capacità di rappresentare il suo elettorato».

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