Politica

Un Paese in balìa delle doppie verità

Ci circonda una fastidiosa cappa di doppie verità. Le stesse persone ci propinano versioni opposte della medesima faccenda pretendendo che le prendiamo per buone entrambe.
Facciamo il caso del Vaticano di fronte all’ammazzamento del nunzio in Turchia, monsignore Luigi Padovese. Il Papa sostiene che è stato il gesto di un pazzo. Altri preti e diverse autorità vicine alla Santa sede dicono invece che è stato un lucido assassinio dettato da odio islamico: il giovane autista del nunzio, Murat, ha finto per anni fedeltà per meglio uccidere al grido di «Allah è grande». È lo scontro tra la realpolitik papale che non vuole incrinare il «dialogo interreligioso» con i musulmani e chi, sempre nella Chiesa, vuole dire le cose come stanno. Il peggio è che adesso si sta mettendo la sordina sulla vicenda e le due versioni opposte rischiano di convivere.
Personalmente mi chiedo se perfino un papa - la cui missione è la verità - possa mentire per ragioni politiche. Ma penso che anche i cattolici in genere debbano interrogarsi se sia legittimo che il pontefice nasconda sotto un velo - sia pure di santa ipocrisia - il pericolo che l’Islam rappresenta per la loro fede. Che se ne fanno i cristiani di una falsa rappresentazione dei veri sentimenti che i musulmani turchi hanno verso di loro? Perché spacciare l’odio che trasuda dall’omicidio del vescovo per una follia e buttarla sul solito buonismo fasullo? Trovo pericoloso e ingiusto creare aspettative di fiducia e pacifica convivenza falsificando la realtà. Da laico dico che, se sono queste le premesse, il Papa sta fondando sulla sabbia il suo sbandierato «dialogo interreligioso».
Lui segua pure le proprie convinzioni ma non inganni i cristiani. Quando si basa una politica, sia pure la più santa, sulla non verità i guai sono alle porte. Di fronte a questa strategia del paraocchi, sono i cattolici turchi a correre i maggiori pericoli. Lo dimostra lo stillicidio dei morti ammazzati nelle loro file da qualche anno a questa parte. Ogni volta, l’omicidio è stato venduto come opera di un folle e sempre la Chiesa ha finto di crederci. Con la conseguenza che gli episodi si sono moltiplicati e ravvicinati. Presumo che oggi, dopo l’omicidio del nunzio e l’ennesima resa della Santa sede, la comunità cattolica turca sia terrorizzata. Per non parlare del senso di abbandono inerme che avrà provato dopo la poco cristiana scelta vaticana di non inviare neppure un delegato papale al funerale del vescovo ucciso.
L’ambigua timidezza di Benedetto XVI ricorda i cosiddetti silenzi di Pio XII sul nazismo. Il pontefice di allora giustificò le sue omissioni con la necessità di evitare rappresaglie del regime sui cattolici tedeschi. Ma i contesti sono diversissimi. Nella Germania degli anni Trenta era al potere la barbarie. La Turchia odierna è invece uno Stato di diritto, retto però da un governo con simpatie islamiste. Dunque, incline a chiudere un occhio - forse di più - sui delitti commessi al motto di «Allah è grande». Ecco allora che la tecnica ecclesiale del silenzio è la più suicida immaginabile. È solo alzando la voce con il potere turco, e pretendendo piena luce sulla deriva islamica dei suoi cittadini, che il Vaticano potrà dare una mano alla minoranza cristiana del Paese. Se ne avvantaggerà lo stesso «dialogo interreligioso» basato sulla franchezza e la sincerità. Non è blandendo la suscettibilità islamica sulla pelle dei morti cristiani che il cattolicesimo farà valere le proprie ragioni. Ma soprattutto, tornando a noi, eviti il Vaticano di confonderci con la doppia verità o pochi del suo gregge saranno ancora disposti a dargli fiducia in bianco.
Un’altra autorità che ci ha ammannito una doppia versione sullo stesso fatto è il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso. La vicenda è nota. Il 26 maggio, in una riunione pubblica, Grasso ha dichiarato che le stragi di Falcone e Borsellino e le bombe mafiose del '93 nacquero dall’accordo tra coppole e i nuovi soggetti politici che si stavano affacciando sulla scena. Non ha fatto nomi. Ma poiché i soli «nuovi», all’epoca, erano il Cav e Forza Italia, tutti hanno appunto pensato a loro. Ne è nato un pandemonio. Grasso ha finto di cadere dalle nuvole e ha detto di essere stato travisato. Strappato per i capelli ha rilasciato un’intervista. Ha detto di non avere parlato di partiti politici, ma di «entità», e di non avere nominato Berlusconi. Ha anzi ricordato che analoghe accuse al Cav erano state da lui stesso archiviate anni prima. Poi però ha confermato quanto aveva detto il 26 maggio, precisando che erano cose note, che risultavano da affermazioni di altri giudici, che tutto era già nelle motivazioni di diverse sentenze. Della serie: non è Berlusconi, ma è Berlusconi o, comunque, uno che gli somiglia come fosse lui. Poi, affermata la doppia verità, si è chiuso nel riserbo consono a un magistrato che parla solo per acta e non straparla mai.
Così, adesso, noi siamo come gli asini in mezzo ai suoni. Sfarfalleggia il sospetto che il premier sia uno stragista e mafioso, ma anche no. Chi vuole crederci, libero di farlo. Chi non ci crede, sia accomodi pure lui. C’è posto per tutto e tutti. Con la rigorosa esclusione della verità che è una e trina, nessuna e centomila. Ma non c’è una toga qualsiasi che chiami Grasso a deporre come persona informata sui fatti o lo incrimini per calunnia? Non c’è. E noi in mezzo, sballottati da questi incoscienti, come poveri idioti.
Un terzo - per scendere molto più in basso - che non ci fa capire niente è Michele Santoro, altro mostro sacro della stessa levatura. Prima dice che se ne va dalla Rai gonfio di soldi per fare le sue cose in libertà. Poi che lo vogliono cacciare ma lui non ci sta e perciò resta. E la verità? Buona per giocarci alle tre carte. E chi se ne impipa di Santoro, direte voi. Sì. Ma lui e quelli come lui non possono ammorbare l’aria che è di tutti.

Allora disinfestiamola e sommergiamo di disprezzo gli imbroglioni.

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