Realistici furori. Tre mostre per capire Arcangeli, genio della critica d'arte

Francesco Arcangeli, critico d'arte, allievo di Roberto Longhi negli anni in cui incontravi Attilio Bertolucci, Giorgio Bassani e poi Pier Paolo Pasolini nelle aule della università di Bologna

Realistici furori. Tre mostre per capire Arcangeli, genio della critica d'arte

Francesco Arcangeli, critico d'arte, allievo di Roberto Longhi negli anni in cui incontravi Attilio Bertolucci, Giorgio Bassani e poi Pier Paolo Pasolini nelle aule della università di Bologna. Quando hai un maestro del genere, il ruolo dell'assistente prediletto rischia di essere soffocante. Invece Francesco Arcangeli emerge con tutta la sua forza nel corso degli anni. Il punto di partenza, e non potrebbe essere diversamente, è la linea padana individuata da Longhi e posta come alternativa alle due tradizionali: veneta e toscana. Una sottile trama realistica corre da Wiligelmo a Giorgio Morandi, passando per Vitale da Bologna, Amico Aspertini, Ludovico Carracci e Giuseppe Maria Crespi. Nella concezione della natura possiamo cogliere la prima divergenza da Longhi: per il maestro è un elemento da collocare nel quadro; per l'allievo è una forza sconvolgente con la quale misurarsi. Può travolgere, il che significa, artisticamente, giungere ad apprezzare Turner, gli impressionisti ma anche Morlotti.

Sono otto secoli di artisti che «attingono la loro forza da una radice più largamente umana rispetto alla cultura che li circonda ... rifiutando spontaneamente le certezze di qualsiasi tipo, per aderire alla passione dell'uomo e delle cose, al mutare del tempo e delle stagioni, al nostro vivere qui e ora» (dal catalogo della mostra Natura ed espressione nell'arte bolognese ed emiliana, che ebbe luogo presso l'Archiginnasio nell'autunno del 1970).

Il carattere schivo, la signorilità, la rettitudine, la profondità e una magnifica prosa imparentata, e non alla lontana, con la poesia sono state e sono sempre più un ostacolo al successo di Arcangeli, in un paese, l'Italia, in piena crisi da analfabetismo di ritorno. Eppure, a volte, è sufficiente una idea azzeccata per illuminare i momenti migliori ma negletti della cultura italiana. A Bologna, la Pinacoteca nazionale, il Museo Morandi e il MAMbo-Museo d'Arte Moderna rendono omaggio a Francesco Arcangeli (Bologna, 1915-1974) nel cinquantesimo anniversario della morte. Ogni sede presenta un percorso guidato dalle parole del grande critico. Tramando, questo il nome dell'iniziativa, è una espressione di Arcangeli stesso e sottolinea un filo nascosto del pensiero, una segreta affinità di fondo che lega artisti nati nello stesso luogo ma vissuti in epoche differenti. Noi potremmo dire che questa trama è la tradizione, ciò in cui affondiamo le nostre radici e che dovremmo cercare di arricchire con la nostra eredità. Tema molto sentito da Arcangeli, che guidò la Galleria d'arte moderna di Bologna (oggi, appunto, MAMbo) realizzando una campagna d'acquisizione mirata a entrare in competizione con le altre istituzioni italiane di questo carattere. Un ulteriore approfondimento di questo aspetto avrà luogo in autunno con una mostra in Project Room. Il MAMbo proporrà una selezione di opere non esposte da tempo (arte informale, soprattutto) mentre il Museo Morandi presenterà otto opere donate da Morandi stesso nel 1961 alla Galleria d'Arte Moderna. Ma i tre percorsi (da oggi al 6 gennaio 2025) sono già motivo eccellente per una prima visita. L'idea è semplice e efficace. Affiancare alle opere studiate o acquisite da Arcangeli, le parole di Arcangeli stesso. Si identificano a colpo d'occhio, nel resto delle collezioni, grazie al colore diverso delle didascalie. Sembra confusionario? Per niente. Infatti lo spettatore ha una doppia opportunità. Non solo conoscere, finalmente, Arcangeli ma anche misurare immediatamente la portata delle sue idee. Infatti, accanto alla furia selvaggia di San Giorgio e il drago di Vitale da Bologna, può ammirare la compostezza di Giotto, che annuncia il Rinascimento. La semplicità di Ludovico Carracci fa da contraltare al barocco di Annibale Carracci. E così via.

Poi c'è Giorgio Morandi. È una storia a parte. La biografia artistica di Morandi è anche la biografia critica di Arcangeli. È una questione di pittura, d'accordo. Ma non può che essere anche un corpo a corpo con se stessi e con l'amico. Come è noto, soprattutto dopo l'uscita dell'edizione critica, Morandi e Arcangeli si rovinarono entrambi la salute a causa del libro. Infiniti sono i motivi particolari. Arcangeli tirava bordate a critici come Argan o colleghi come Giorgio De Chirico. Morandi non poteva tollerare questi attacchi in un libro che lui stesso aveva commissionato, poteva sembrare corresponsabile se non addirittura il mandante. D'altro canto, Arcangeli si spingeva a collocare Morandi in un quadro internazionale che lambiva l'informale. Il pittore non apprezzava e interveniva cercando di porre inaccettabili paletti critici al suo esegeta.

Al netto di questa polemica, ormai archiviata, restano le ineffabili parole di Arcangeli davanti alle nature morte di Morandi. Più osservi le strade bianche, i cieli color cobalto, le bottiglie sul tavolo meno ti sembrano immagini chiare nel loro significato. In fondo, in quella immobilità assoluta, entrambi, il pittore come il critico, sentono, forse, la stessa cosa: il mistero della materia e lo sfacelo del divenire, una corsa inevitabile verso la morte. Per questo, Morandi, e anche Arcangeli, sono così sensibili alla poesia di Giacomo Leopardi. A volte, la didascalia se la gioca alla pari con l'opera. Vediamo, ad esempio, Paesaggio (1940), uno dei pezzi in prestito da collezione privata.

Arcangeli: «Mi pare un capolavoro: un muro tacito, desolato, immoto, un mondo chiuso per sempre in questa perfetta materia tonale» (da Natura ed espressione nell'arte bolognese-emiliana, edizione anastatica, Minerva 2003).

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