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«Paisà Giuseppe» Manchester ai piedi dell’altro Rossi

«Quando mi fa entrare, Ferguson mi dice: Vai Giuse, divertiti. Sono pazzo di Shevchenko, ma in Italia non torno. Qui c’è più serenità»

Gian Piero Scevola

Papà Ferdinando come maestro, Ruud Van Nistelrooy come fan, sir Alex Ferguson come nume tutelare: con queste credenziali Giuseppe «Little» Rossi, 18 anni compiuti lo scorso primo febbraio, è diventato l’idolo di Manchester, quella targata «red devils», l’United tanto per intenderci, con l’intero Old Trafford che martedì sera, nella gara di Champions contro i francesi del Lille, ha scandito a ripetizione il suo nome. Un cognome di moda, basta pensare al Valentino plurimondiale nel motociclismo, ma ben conosciuto anche nel football dopo le imprese di Paolo Rossi nen 1982 in Spagna. Nato a Teaneck nel New Jersey (il padre Ferdinando, abruzzese, è emigrato nel 1966 e a Clifton ha sposato l’insegnante molisana Cleonilde), Rossi all’età di 12 anni si è trasferito con i genitori a Parma dove è stato subito tesserato nell’allora società della famiglia Tanzi. All’inizio del 2004 l’osservatore italiano del Manchester lo segnala a Ferguson: i tanti gol con gli allievi e la primavera del Parma avevano fatto il miracolo.
«E, detto e fatto, il 6 luglio 2004 ho firmato col Manchester il contratto da professionista, quello che il Parma non mi aveva voluto dare».
Ma cosa ha provato un ragazzino come era lei allora ad essere catapultato in un grande club come il Manchester?
«È stato il coronamento dei miei desideri. Da bambino sognavo a occhi aperti di giocare nel Milan, la mia squadra del cuore, Van Basten il mio idolo di ieri, Shevchenko quello di oggi. Papà, professore di italiano, educazione fisica e coach di soccer al Clifton College, mi ha fatto cominciare a 4 anni. Subito attaccante, con la voglia matta di fare gol».
Un predestinato. E poi?
«Per 8 anni mi sono divertito negli Usa, ma i miei allenatori vedevano in me qualcosa di speciale e tutti hanno contribuito a migliorarmi, dal primo Roberto Della Pina, all’ultimo il parmense Davide Ballardini».
Quattro anni e mezzo nel Parma non hanno però convinto la società a trattenerla. Se l’è spiegato?
«Il Parma nel 2004 stava vivendo una pesante crisi finanziaria, non si sapeva nemmeno se si sarebbe iscritto al campionato. Avevano altro a cui pensare, li giustifico e allora ho colto l’occasione al volo».
Meno male che non aveva problemi di lingua...
«L’inglese è la mia prima lingua ma, a parte questo, mi sono subito trovato bene, senza alcuna prevenzione nei confronti di un italiano, forse perchè ero un bambino e nessuno mi vedeva come un rivale».
Ma poi il bambino è cresciuto.
«Sono stati i 17 gol nelle riserve del Manchester, che disputano un campionato come la primavera in Italia, e i 4 trofei su 5 vinti nel 2004-05, a farmi conoscere e apprezzare. Al punto che Van Nistelrooy seguiva sul canale Manchester Tv le nostre partite e si è messo a tifare per me come un matto».
E quando s’è trovato davanti a Sir Alex Ferguson, cosa ha provato?
«Mamma mia, che personaggio. Mette soggezione solo a guardarlo. Stentavo a crederci quando mi ha aggregato alla prima squadra».
Sabato scorso l’esordio col gol in Premier League a Sunderland.
«Non me l’aspettavo, ero in panchina e quando Ruud è uscito Ferguson mi ha detto le stesse parole che mi ripete dal primo giorno: “Vai Giuse, fai il tuo gioco e divertiti”. E ho fatto pure gol, ma è facile giocare vicino a tanti campioni. Con Rooney mi trovo a meraviglia, gioco più avanzato, ci scambiamo spesso. La nostra è un’intesa naturale».
Cosa ha provato martedì nel sentire l’intero Old Trafford che la voleva in campo?
«Mi è venuta la pelle d’oca».
A chi si sente di assomigliare?
«Sono mancino, ma uso bene anche il destro. Chi mi ha allenato mi ha paragonato a Raul del Real Madrid, una punta di movimento».
Lei è considerato il nuovo «wonder kid», il ragazzino prodigio della collezione di Ferguson. Una bella responsabilità, non le pare?
«Eccome, ma la sfida mi stimola, anche se ho ancora un milione di cose da imparare. Ma qui posso farlo tranquillamente».
A Manchester ora si favoleggia sulle 3 «Golden R», le R d’oro Rooney, Ronaldo e Rossi che fanno poker con Ruud (Van Nistelrooy). Non è che adesso si monta la testa?
«Sto con i piedi per terra, non per niente ho sulla maglia il numero 42, devo solo imparare. Come maestro ho Van Nistelrooy, per me un fratello maggiore che mi ha preso sotto la sua ala protettrice ed è prodigo di consigli. Quando ho segnato è scattato dalla panchina, esultando come se il gol l’avesse fatto lui».
Rimpianti per l’Italia?
«Nessuno. Qui c’è il calcio più bello e a misura d’uomo. Posso andare tranquillamente in un pub con gli amici e uscire per strada senza essere stressato dai tifosi».


Ma riesce a seguire il campionato italiano?
«Eccome e spero che il Milan vinca lo scudetto».

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