Palermo dopo Roma e Venezia: è Giochimania

Siamo un popolo di poeti, navigatori, letterati e... giocolieri, nel senso che riusciamo a divertire e divertirci perfino con quel sacro business dell’Olimpiade. Ieri pomeriggio un’agenzia dell’Adnkronos recava la notizia che Palermo si sarebbe candidata all’Olimpiade del 2020 in contrapposizione a Venezia e Roma. Peccato che il sindaco del capoluogo siciliano, Diego Cammarata, non ne sapesse nulla. A portare avanti l’ipotesi è stato infatti il presidente della regione, Raffaele Lombardo, psichiatra forense nonché imprenditore agricolo, il quale non è stato neppure sfiorato dal pensiero di confrontarsi con il primo cittadino del capoluogo. E pensare che si dovrebbe occupare, su delega berlusconiana, della ricostruzione di Messina.
Figuratevi se possiamo portare a casa una Olimpiade, a 60 anni di distanza da quella romana, comportandoci in modo così settario. All’estero ci ridono dietro. Di come stiano le cose a Palermo ne è fedele testimonianza la nota inviata alle agenzie dal sindaco Cammarata: «La candidatura di Palermo alle Olimpiadi del 2020 sarebbe certamente una straordinaria occasione per la nostra città, ma non si tratta certo di una proposta nuova né originale. Già nel 2001 l’allora presidente della Regione, Cuffaro, avanzò questa ipotesi e, per rafforzarla, insediò un comitato promotore costituito da tecnici ed amministratori. La città si gioverebbe certamente di una così rilevante opportunità. Ma è sconcertante che la riproposta odierna, avanzata dal presidente della Regione, sia avvenuta passando sulla testa di quanti a questa candidatura sono istituzionalmente interessati, il che dimostra come la contrapposizione politica sia ormai sconfinata in maniera evidente nella scortesia istituzionale». Amen.
L’onorevole Lombardo ha previsto di presentare la candidatura di Palermo giovedì alle 15,30 presso la sede della Stampa Estera a Roma. Ma forse non sa che per il movimento olimpico contano solo le città. Guarda caso il Cio, prima ancora di conoscerne i particolari, ha bocciato la candidatura congiunta di Hiroshima e Nagasaki in proiezione 2020. Gilbert Felli, direttore esecutivo del Cio per i Giochi, ha ricordato che «non possono essere prese in considerazione candidature congiunte, ma solo quelle di singole città». Stando così le cose, sarebbero addirittura tre le città italiane vogliose di ospitare i Giochi olimpici del 2020: Venezia, Roma e appunto Palermo. Ma anche Milano pensa a una sortita partendo dal presupposto che nel 2015, l’anno dell’Expo, avrà approntato tutte le infrastrutture per un valore di 13 miliardi. E le infrastrutture, come raccontano i bilanci delle ultime Olimpiadi, costituiscono almeno i tre quarti della spesa finale.
Spetterà comunque al Consiglio nazionale del Coni votare la città da presentare alla kermesse finale. E le indicazioni convergono già da adesso sulla capitale. A Palermo non devono essere giunti i segnali inviati da Mario Pescante, nominato l’altro giorno a grande maggioranza primo vicepresidente del Cio, con un deferente ricordo a chi gli aveva dato dell’alcolico qualche anno fa su un quotidiano sportivo. In cinque punti la sua ricetta: «In primo luogo, consenso politico generale sul progetto, senza la minima sbavatura; 2) budget imponente, attorno ai 25 miliardi con un ritorno quantificato nella metà; 3) comitato di promozione credibile, autorevole, composto da uomini come Montezemolo; 4) dossier preparato nei minimi particolari da chi se ne intende, e noi abbiamo dei professionisti che hanno lavorato per sedi straniere con ottimi risultati; 5) strategia trasparente sulle infrastrutture, a prova di infiltrazioni mafiose». A nostro favore la presenza di cinque membri italiani nel Cio: Carraro, Cinquanta, Di Centa e Ricci Bitti, oltre a Pescante che da anni ricopre virtualmente la carica di ministro degli esteri del presidente Rogge.

La spesa globale è lievitata in modo formidabile dai 12 miliardi di Atene ai 23 di Pechino a fronte di un innalzamento del Pil e dei benefici di cui godrà la sede olimpica per decenni. Quasi una finanziaria. Ci pensino, i promotori delle nostre sedi, prima di fare una figuraccia e di farla fare al Paese.

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