Luciano Gulli
nostro inviato
a Gerusalemme
Sono un milione e trecentomila i palestinesi chiamati oggi alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. Elezioni cruciali, si è detto e ripetuto, perché dal risultato dipenderà il destino di questo martoriato angolo di Medio Oriente. Seguire londa morta (ma rassicurante) di Al Fatah, che nonostante il ricambio generazionale appare quella di sempre, divisa al suo interno e priva di un leader capace di impugnare autorevolmente il bastone del comando lasciato da Arafat? O dar credito ai «puri» di Hamas, che si presentano alle elezioni per la prima volta, forti della loro immagine di «resistenti» e dei consensi guadagnati sul campo, con la loro efficiente rete di servizi sociali? E rischiare però, se la bilancia dovesse pendere troppo a favore del Movimento di resistenza islamico lirrigidimento di Israele, degli Stati Uniti e dellEuropa?
Il dilemma dei palestinesi, detto in soldoni, è questo.
Rispetto al 1996 sono cambiate alcune regole. Il nuovo Consiglio legislativo avrà 132 rappresentanti, per metà scelti con metodo proporzionale, sulla base di una lista nazionale, e per laltra metà eletti in sedici distretti (undici in Cisgiordania e cinque nella Striscia di Gaza) con il sistema maggioritario. Gli elettori potranno scegliere tra undici liste. Ma la sfida decisiva, o il duello fratricida, come lo chiama qualcuno, è tra Al Fatah, ben inchiavardato al potere, e gli outsider di Hamas.
Lultimo sondaggio diffuso ieri attribuisce 59 seggi al Fatah e 55 ad Hamas. Ma un rovesciamento di fronte, secondo molti osservatori, non è da escludere. Se vincerà il partito fondato da Yasser Arafat, vedremo probabilmente un governo di coalizione con i piccoli partiti del centrosinistra. Anche se Marwan Bargouti, capolista di Fatah e leader dei riformatori interni, vedrebbe di buon occhio anche un governo di unità nazionale con Hamas. Il timore, espresso senza mezzi termini da Stati Uniti ed Europa (che ventilano una chiusura dei rubinetti finanziari che tengono in piedi lAnp) è che la partecipazione degli oltranzisti di Hamas possa pregiudicare una possibile ripresa del processo di pace.
Divisi, al loro interno, sono anche i candidati di Hamas. Alcuni, in caso di vittoria, sarebbero pronti a «rispettare la volontà popolare» assumendosi responsabilità di governo. È il caso di Mohamed Shihab, ascoltato dirigente e candidato piuttosto in vista. Altri, come Jalil Nofal, si oppongono alla prospettiva, convinti che la resistenza armata debba proseguire a oltranza.
Ehud Olmert, primo ministro ad interim israeliano, si augura che dalle elezioni emerga uno Stato palestinese moderno, democratico e prospero, «perché il benessere dei palestinesi sarà anche il nostro e la loro stabilità sarà anche la nostra».
Le forze di sicurezza palestinesi sono da ieri sera in stato di allerta, dopo luccisione a Nablus di un attivista di Al Fatah da parte di un gruppo di miliziani appartenenti alle Brigate dei martiri di Al Aqsa. Accanto allabitazione del morto, che si chiamava Ahmed Yussef Hassuna, e aveva 36 anni, ieri sera stazionavano uomini armati, decisi a vendicare lucciso. Molti negozianti hanno abbassato le saracinesche anzitempo, e agli osservatori europei in città per seguire il voto odierno è stato consigliato di restare chiusi in albergo.
Il clima, insomma, si va surriscaldando, mentre la polizia palestinese è dovuta intervenire, sparando in aria, a Tulkarem, in Cisgiordania, per disperdere una manifestazione organizzata dalla Jihad islamica che boicotta il voto. Con le armi al piede, nonostante tutto, hanno promesso di restare le principali fazioni armate.
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